Oslo Tapes: recensione di ØR

A 6 anni di distanza dall'ultimo lavoro tornano gli abruzzesi Oslo Tapes con lo space/post rock del loro ØR. Per amanti dei Mogwai.

Oslo Tapes

ØR

(Pelagic Records)

post rock, kraut, space rock

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Oslo Tapes recensione ØRArriva in un 2021 già ricco di bellissime produzioni il nuovo lavoro degli Oslo Tapes intitolato ØR (in norvegese significa vertigini).

Coprodotto da Amaury Cambuzat degli Ulan Bator e da James Aparicio (già al lavoro con Mogwai e Nick Cave fra i tanti) e pubblicato dalla label tedesca Pelagic Records, il nuovo lavoro della band abruzzese è forse il più complesso della loro discografia.

Si aprono le danze con Space Is The Place, brano space rock allucinato e dal ripetersi ossessivo. Il primo estratto dall’album, Zenith, resta in bilico fra Massimo Volume e Woven Hand, band che adoro, ma non finisce di convincermi.

Molto più interessante Kosmik Feels con ritmiche tribaleggianti e cupe atmosfere psichedeliche.

Bodø Dakar ricorda maggiormente le sonorità di Tango Kalashnikov, primo lavoro della band capitanata da Marco Campitelli, sonorità che avvicinano questo lavoro anche ai prodotti di Cambuzat con gli Ulan Bator.

 

Il giro di boa dell’album si avvia con Cosmonaut, ulteriore brano di onirico space rock per poi continuare con il post rock di Norwegian Dream.

Il post jazz alienante di Exotic Dreams e la stupenda kraut di Obsession Is The Mother Of All, punta di diamante di questo lavoro, chiudono un album molto interessante che richiede ben più di un ascolto per essere apprezzato.

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Fabio Busi
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