MIT – Meet in Town 2011
Roma, 23 luglio 2011, Auditorium Parco della Musica
live report
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Orfano di Dissonanze, il pubblico romano ha un gran bell’accontentarsi col MIT – Meet in Town Festival.
Partito come appuntamento mensile, assurto a festival vero e proprio lo scorso anno, spostato da aprile a luglio, il MIT quest’anno ha messo in piedi una “due giorni” da leccarsi i baffi.
Il pubblico però non è certo accorso in massa il primo dei due giorni (ma per fortuna affollando il secondo), non premiando la scelta di aver allestito una prima giornata con un cartellone praticamente di contorno al ritorno sulle scene dei Primal Scream. La band inglese sta portando in giro per il mondo un tour dedicato ai festeggiamenti del ventennale di Screamedelica, con il piccolo particolare che buona parte dei trentenni di oggi non sanno nulla dell’album che ha portato i campionatori nell’indie rock. E soprattutto col macigno del loro cachet, che si vocifera sia di 90.000 euro, cifra in grado di affossare i bilanci di qualsiasi manifestazione.
Il secondo giorno, invece, sabato 23 luglio, all’Auditorium (occupato per intero) si respira l’aria di un vero e proprio festival, con tantissima gente che sciama ovunque, un programma zeppo di appuntamenti e sofferte decisioni da prendere su cosa ascoltare e a cosa rinunciare.
I tantissimi intervenuti di sicuro però non hanno avuto dubbi e praticamente tutti sono saltati come molle sulle bordate di ultrabassi dei tamarrissimi Modeselektor. I due tedeschi propongono un set sì cafone, ma che è una vera e propria macchina da divertimento. E dietro la loro apparente grana grossa, si nasconde comunque un gusto per i campionamenti – pressoché perfetti – davvero raro. Saltano dalla techno alla balearic, dall’hip hop ai glitch, divertiti e divertendo, coadiuvati da un vj che inonda lo schermo gigante di immagini stranianti, non dimenticano di passare anche da Moderat, il progetto che tra il 2009 e il 2010 li ha visti impegnati insieme ad Apparat. Il loro spettacolo (più un dj set sofisticato che un vero e proprio live) è stato più volte interrotto: una biondina con un vestito blu elettrico, ben presto imitata da tanti altri, ha più volte tentato di salire a ballare sul palco, dando parecchio da fare alla security che, da parte sua, non ha certo brillato per gentilezza ed è stata più volte reguardita dai Modeselektor stessi.
Nel pomeriggio s’era svolto a About a Slent Way, il tributo a Miles Davis di un manipolo di virtuosi musicisti, impegnati sulle note dello scomparso jazzista e inondati di beats da un addetto alle macchine.
Alcune primavere cadono d’inverno è lo spettacolo creato apposta per il MIT da Pathosformel e Port-Royal: una lunghissima suite strumentale di musica ambient-isolazionista, con a tratti Attilio (dei Port-Royal) impegnato anche alla chitarra. Musicalmente si tratta di un vero e proprio trip alla Labradford, visivamente un ginnasta-break-dancer s’è impegnato in evoluzioni di cui però, francamente, non ho capito il senso. Ai lati del palco una selva di ventilatori, a tratti impegnati a far danzare una busta di plastica (un comune sacchetto della spesa), assicurata al palco da un invisibile filo.
Il Teatro Studio si riempie all’inverosimile molto velocemente per Gold Panda. L’inglese si presenta con giacchetto-felpa con cappuccio d’ordinanza e il fatto che abbia studiato in Giappone si percepisce dai visual e da alcune influenze musicali. La sua techno è continuamente spezzata, ritmi afro fanno timide intrusioni, ma è la nostalgia il sentimento che più spesso emerge dalla musica da Gold Panda, pronta a diventare un post-hip-hop influenzato dalla idm più bucolica.
Ma l’headliner della serata è decisamente Apparat, che con la sua band suona in anteprima buona parte del suo imminente nuovo album. Compito assai difficile per lui, dopo il fomentone-Modeselektor. Un paio di incursioni nel suo splendido Walls, una versione elettrica di Rusty Nails in chiusura; il resto è tutto per The Devil’s Walk, l’album che uscirà il 27 settembre (proprio nella stessa settimana in cui uscirà il nuovo album dei suoi amichetti Modeselektor). Chiariamo subito che Appart è tutto fuorché un cantante. Canta, ma non è decisamente la cosa che gli riesce meglio. Con il moniker Appart Band a Sascha Ring la cosa che riesce meglio è creare atmosfere oniriche, divagare in lunghe code strumentali, affrontare di petto lo shoegaze e riempirlo di glitch, lasciarsi prendere da note tristi ma sempre sostenute da ritmiche importanti, ripetitive ed ipnotiche. Una band “classica” (batteria, basso, pianoforte, tastiere), con Apparat impegnato tra chitarra, voce e con un controller remoto per il computer da cui partono i glitch. La scena è difficilissima da fotografare: una fioca luce blu interrotta solo da quelle che dovrebbero essere delle candele elettriche, disseminate sul palco, a creare un’atmosfera tra l’onirico e il sacro. Da quello che abbiamo sentito The Devil’s Walk si candida sin da ora a essere tra i dischi dell’anno!
All’organizzazione del festival i complimenti per aver assemblato un programma all’altezza di una manifestazione europea, includendo anche l’elegante ma di maniera concerto degli Stateless, la manifestazione della paura dei quarti dei Lamb e le dilatazioni dubstep di Kode9.
Come al solito il pubblico romano (ma c’era gente arrivata da un po’ ovunque) s’è dimostrato cacciarone e distratto, pronto ad accogliere a braccia aperte qualsiasi bordata di ultra-bassi e a farsi accecare dalle luci stroboscopiche, piuttosto che farsi coccolare da atmosfere oniriche a luce soffusa.
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