Måneskin: recensione di Rush!

A distanza di due anni dal precedente Teatro D'Ira Vol.1, i Måneskin pubblicano il nuovo album intitolato Rush! Il disco della consacrazione nell'Olimpo della musica pop mondiale.

Måneskin

Rush!

(Sony Italia)

glam rock, disco rock, pop rock, funk-pop

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Alla fine, signor giudice della tastiera, è tutta una questione di timing: il segreto è trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

Dopo aver mosso i primi passi nel talent show X Factor, i Måneskin hanno avviato una vertiginosa scalata nel mondo patinato del mainstream , strappandosi di dosso l’etichetta “wannabe” e collezionando, in breve tempo, un palmarès ricco di eventi e riconoscimenti sia sul territorio nazionale che oltreconfine: vittoria al festival di Sanremo e all’Eurovision Song Contest, il raggiungimento della vetta della classifica mondiale di Spotify, la collaborazione con Iggy Pop nel loro pezzo I Wanna Be Your Slave, il concerto nel famoso club Bowery Ballroom di New York, la partecipazione in qualità di ospiti nel programma Tonight Show di Jimmy Fallon, l’apertura per i Rolling Stones a Las Vegas e la cover di If I Can Dream inclusa nella original soundtrack del film Elvis di Baz Luhrmann.

A distanza di due anni dal precedente Teatro D’Ira Vol.1, i Måneskin mandano alle stampe il nuovo album intitolato Rush!, edito per Sony Italia e anticipato dall’uscita di diversi singoli: La Fine, Supermodel, Mammamia, The Loneliest, Gasoline (brano con il quale hanno aderito alla campagna “Stand Up For Ukraine”) e Gossip feat. Tom Morello.

Certo, che delusione Tom Morello. Con l’età si è rincoglionito, e come lui Iggy Pop e i Rolling Stones. Un altro mercenario. Diceva che era COMMUNISTA COSÌ! Con due EMME, a rafforzare il senso di appartenenza, e con entrambi i pugni al cielo. Eppure, il paradosso è che il sodalizio tra Tom Morello e i Måneskin – in quanto a ritorno di visibilità – conviene più all’attuale parabola discendente dell’ex chitarrista dei Rage Against The Machine che alla corsa ascendente della giovane band romana. Se qualche decennio fa la rabbia sociale si scagliava contro la machina del cosiddetto sistema, oggi quella rabbia ha un nemico diverso, ce l’ha in seno, e si rivela nei pregiudizi, nei moralismi e nell’ipocrisia della gente comune.

Rush! è un disco di misura extra large, composto da ben 17 canzoni (troppe) per la durata di quasi un’ora di musica, con il quale il quartetto capitolino – Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) e Ethan Torchio (batteria) torna a catalizzare e polarizzare l’opinione pubblica sui social media, infondendo credibilità sia quando Damiano canta in inglese sia quando canta in italiano (tranne quando urla, disturbando la sensibilità dei violinisti) e consacrandosi al grande pubblico con hit da heavy rotation, al pari di giovani popstar anglofone già affermate come Greta Van Fleet, Harry Styles, Ed Sheeran, Billie Eilish, Machine Gun Kelly e Lizzo.

Una gratificazione internazionale unica nella storia della musica pop italiana, con buona pace di quei detrattori che si scandalizzano per un paio di adesivi sui capezzoli e non hanno ancora capito che il pop non è un genere musicale e che ha vinto il capitalismo. Ma si sa, il successo è tanto divisivo quanto volubile e fugace. E anche la rosa più bella ha le spine. Quindi, meglio cavalcare il trend quando la cresta dell’onda è ancora alta, tanto da sfiorare il sole: “welcome to the city of lies, where everything’s got a price”. Frase che fa molto Guns N’ Roses.

 

Con la realizzazione di Rush! – coadiuvati da un team di producer di fama mondiale e grazie alle influenti strategie di marketing messe a disposizione da una major come Sony Italia – i poco più che ventenni Måneskin hanno virato la loro direzione artistica verso una proposta musicale che sposasse appieno il rapporto tra domanda e offerta nel contesto della contemporaneità sempre più digitalizzata e iperconnessa, adeguandosi alle esigenze di un mercato che, oggigiorno, alimenta le nuove logiche del consumismo attraverso sovraesposizione mediatica e numero di visualizzazioni sulle maggiori piattaforme di streaming musicale (“you said I’m ugly and my band sucks, but I just got a billion-streaming song, so kiss kiss my butt).

All’interno di Rush!, per ciò che riguarda il versante della struttura strumentale, ci ritroviamo catapultati in un rock da arena ballabile e goliardico; sul dancefloor di un adrenalinico party funk-rock dalle sonorità contagiose, festaiole, gender fluid, sensuali e provocanti, ma senza dover ricorrere a tentazioni elettroniche. Insomma, nulla di innovativo, nessun segnale di riforma, ci mancherebbe, ma comunque fresco e godibile.

Una miscela oversize ricca di entusiasmo e sfumature stilistiche, dove riff stop & go dal groove iper-catchy e pulsazioni pirotecniche di basso e cassa alla Maroon 5 e Lady Gaga (Own My Mind, Baby Said, Gossip, Feel, La La La, I Don’t Wanna Sleep) si alternano a ballad rock elettro-acustiche, melodiche, introspettive e malinconiche (Timezone, If Not For You, The Loneliest e Il Dono Della Vita, con evidenti echi di chitarra elettrica alla John Frusciante di Snow), fino a scorticare corde hard-rock con i brani La Fine e Mark Chapman e invadere gli inflazionati campi del post-punk revival con Kool Kids, omaggio a uno dei loro gruppi preferiti, gli Idles.

Se da un lato i Måneskin, in questo nuovo capitolo discografico, hanno sacrificato la possibilità di approfondire una ricerca testuale in favore di un prodotto commerciale dall’appeal internazionale e di un’irriverente retrogusto estetico – glamour e kitsch – malvisto da certo bigottismo culturale (purtroppo) non ancora superato, dall’altro hanno continuato a esibire performance live dal carisma trainante e a rivolgersi a un determinato target anagrafico, aderente, in linea di massima, a quello degli stessi componenti del gruppo.

Ogni generazione, in quel passaggio di consegne tra una barricata e l’altra, ha finito per omologarsi a quella precedente, ereditando quella mentalità conservatrice totalmente reticente verso novità e diversità. Una folta schiera di nostalgici rockettari over 40 terrorizzati che il successo dei Måneskin li espropri della loro memoria rock. È così che certi fanatismi, alla lunga, rischiano di sfociare in un’idolatria patologica e pericolosa.

Passando per citazioni sparse qua e là – dai Nirvana, Bob Dylan e Michael Jackson in If Not For You a Please Please Please Let Me Get What I Want dei The Smiths in Bla Bla Bla Rush! ci mostra il grande salto dei Måneskin, discusso e criticato tanto negativamente quanto positivamente, che proietta la band romana nell’Olimpo della musica che conta, quale manifesto e megafono emotivo di questo periodo storico. Il tempo ci dirà se è solo l’inizio o la fine.

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