Intervista ai 99 Posse

Abbiamo incontrato i 99 Posse durante la data milanese del "Cattivi Guagliuni Tour". Leggete com'è andata

intervista-99-posseI 99 Posse sono tornati più carichi che mai. Dopo una pausa durata circa un decennio la band napoletana ha di recente pubblicato un nuovo disco, Cattivi Guagliuni ed è attualmente impegnata in una serie di concerti lungo lo stivale. Noi abbiamo incontrato Luca “‘O Zulù” Persico, Massimo “JRM” Jovine e Marco “Kaya Pezz8” Messina proprio on the road, in occasione della tappa milanese del “Cattivi Guagliuni Tour”.

Tutt’altro che cattivi, anzi molto simpatici e alla mano, i tre “guagliuni” ci hanno parlato dei loro progetti passati e futuri e ovviamente del nuovo lavoro. Ecco cosa è venuto fuori durante la nostra interessante chiacchierata.

RockShock. Cosa vi ha spinto a tornare sulle scene dopo tanti anni?

Luca: La noia (ride, ndr). In realtà un incrocio di strade, le nostre si erano divise dieci anni fa e ognuno aveva proceduto su una linea, quando queste linee si sono intersecate di nuovo ne abbiamo subito approfittato. Abbiamo ritenuto che fossero più che sufficienti, dato che erano le tre linee fondatrici dei Posse. Ti sto anticipando la domanda Meg!

RockShock. No no, nessuna domanda Meg in arrivo!

Luca: Ok. Quindi ci siamo rincontrati e abbiamo ricominciato a parlare, chiarendo che le cose che ci avevano allontanati dieci anni fa erano sicuramente superate. È un momento in cui tornare indietro sulle proprie scelte è impossibile per la maggior parte delle persone, chi perde il lavoro vorrebbe ritornare indietro ma non glie lo ridanno, lo stesso vale per chi perde la vita o chi perde la libertà, noi il nostro lavoro non l’abbiamo mai perso perché comunque in questi anni abbiamo continuato a fare diverse cose. Il brand però, chiamiamolo così, la 99 Posse, l’abbiamo parcheggiata in un garage nel momento del suo massimo splendore e delle sue massime prestazioni, questo non perché avessimo subìto qualche sconfitta, ma perché abbiamo sentito il bisogno di fare altro. Poi non sfruttare l’opportunità di tornare indietro in un momento come questo ci sembrava un po’ criminale e quindi l’abbiamo fatto.

Massimo: Speriamo che sia chiaro a tutti che la scelta di rimetterci insieme non si basa su motivazioni di tipo commerciale e penso che ascoltando attentamente il disco si capisce naturalmente che la 99 Posse sentiva l’esigenza forte di rincontrarsi.

Marco: Infatti tra i commenti al disco che ho letto fin’ora i più belli sono quelli di persone che hanno notato che il gruppo non è tornato per fare la classica reunion, ma perché aveva delle cose da dire.

RockShock. Durante questi anni vi siete dedicati ad altri progetti artistici?

Luca: Sì. Io fatto un’esperienza col cinema, “Fame chimica”, tra l’altro girato qua a Milano, in cui ho recitato e di cui ho curato la colonna sonora. Poi ho fatto un libro, sono stato in giro tra Palestina, Kurdistan e Iraq e ho fatto un disco che si chiama Al Mukawama, che nella lingua araba significa “la resistenza”, con Neil Perch degli Zion Train e Papa J, che era un altro dei cofondatori dei 99 Posse. Poi c’è un progetto che si chiamava ‘O Zulù in the Al Mukawama experiment 3, di cui Massimo che ha curato tutta la parte musicale, che quando è stato messo in scena si è avvalso anche della collaborazione del batterista storico dei Posse Claudio “Klark Kent”. Questa è la cosa che ho fatto in questi dieci anni più simile ai 99 Posse, sia per l’impostazione che per il fatto che dentro allo spettacolo dal vivo avevo inserito con una chiave di lettura differente molti brani importanti dei 99 Posse, oltre che delle cose inedite ovviamente. Inoltre ho collaborato con un gruppo di post new wave napoletano e poi con Capuano, il folk rocker della sinistra istituzionale diciamo, uno col il quale ci saremmo presi a mazzate fino allo sfinimento venti anni fa e con cui mi sono ritrovato a percorrere una parte di strada insieme, giocando sulla differenza di provenienze e facendone un motivo di musica.

Massimo: Ognuno di noi chiusa la fase 99 Posse aveva in sospeso delle cose che non potevamo realizzare nei 99, perché è sempre difficile mettere d’accordo tre teste. Quindi finita la 99 Posse la prima cosa che ho fatto musicalmente è un progetto che si chiamava Dr. Cat Experience, sempre col batterista Claudio Marino e con un ragazzo che vive a Londra e che si chiama Luca “Dr. Cat” Gatti. Poi ho fatto per due anni con Roy Paci la tournée di “Toda joia toda beleza” e ho fatto Zelig sempre con lui. Questo per quanto riguarda la musica. Inoltre avevo un pallino da anni: mi è sempre piaciuto oltre che suonare far crescere la scena culturale intorno alla musica. Quindi ho aperto un circolo a Napoli che fosse un centro sociale con più potenzialità rispetto a quelli che frequentavamo noi, che per quanto riguarda la musica offrisse più possibilità dal punto di vista tecnico. Spesso noi suonavamo con impianti tipo cassettine giocattolo, perché per loro la cosa principale era raccogliere la sottoscrizione alla porta e far partire delle iniziative politiche. Cosa che noi, per carità, approviamo e ci rendevamo conto essere giusta, però volevo dare una possibilità diversa a chi ha anche delle idee da esprimere.

Luca: Sai nei centri sociali non si fa auto reddito, almeno non in quelli delle nostra città, in altre invece alcuni hanno fatto questa scelta, che migliora le possibilità del centro sociale da un lato però dall’altro, nel dibattito interno, come si dice, ne peggiora la sua funzione sociale. Senza entrare all’interno di questo dibattito, che non ci appartiene, perché comunque noi il nostro reddito abbiamo avuto il colpo di culo di riuscircelo a procacciare al di fuori del centro sociale, nei centri sociali è complicato poter lavorare con la musica perché sono strutture fondamentalmente politiche. Uno dei problemi sono i cachet dei gruppi, se lui ad esempio vuole portare un gruppo dall’America lo può fare perché si fa i suoi calcoli, le spese, i guadagni e stabilisce se farlo o non farlo venire. In un centro sociale non potresti mai, almeno non in quelli che abbiamo giù a Napoli. Qua a Milano quando uno dice centro sociale la prima cosa che ti viene in mente è il Leoncavallo, che è un posto dove si può fare qualsiasi cosa.

Massimo: Quello che a me interessava era creare una scena musicale, per lo meno in città, che fosse più forte, che non si basasse sull’idea di ascoltare solo la musica che produce ma di ascoltare la musica in generale, soprattutto quella che producono gli altri ed è stato difficilissimo. Avevo pile di demo tape nell’ufficio e poi ai concerti venivano 40 persone. Poi alla fine il progetto è andato molto bene, di locali ne ho aperti tre, due a Napoli e uno a Roma, però è stato difficile abituare i ragazzi a vedere i concerti. Io ricordo di aver iniziato a suonare a 14 anni e vedevo almeno tre concerti a settimana facendo su e giù per l’Italia, posso raccontare davvero di aver visto l’impossibile. Penso che sia importante nell’esperienza di crescita di un musicista. Poi non posso non menzionare tra le altre cose il progetto “Jovine” col quale ho fatto quasi 300 concerti e che ha visto varie volte anche la collaborazione di Luca.

Marco: Per quanto mi riguarda ho fatto un’etichetta di musica elettronica e poi mi sono occupato, all’inizio per caso e poi per passione, di colonne sonore e sonorizzazioni. Però ovviamente sentivo la mancanza della capacità che ha la 99 Posse di comunicare, c’erano delle volte in cui c’era qualcosa che non mi andava o qualcosa che volevo proporre, ma mi rendevo conto che attraverso i miei mezzi potevo fare una percentuale infinitamente più piccola delle cose che potevo invece fare insieme agli altri.

Luca: La stessa cosa valeva anche per me. Essendo quello che scrive le parole nel gruppo, durante la separazione potevo giocarmele e me le sono giocate in tutte le salse possibili e immaginabili, senza però mai riuscire ad ottenere quello che definisco il consenso popolare che invece ha la 99 Posse. La 99 Posse è in grado di attrarre le persone più impensate ai concerti e a comprare i dischi e in qualche maniera entra sempre nelle loro coscienze, o per farle incazzare come delle bestie o per farle esaltare o quanto meno per fargli venire un dubbio. Comunque non passiamo inosservati. Invece la maggior parte delle cose che abbiamo fatto, anche quelle che sono andate meglio e che ci hanno dato più soddisfazioni, non sono arrivate a quel livello che definisco appunto consenso popolare.

RockShock. Parlando di parole ne approfitto per chiederti Luca se hai mai pensato che il dialetto napoletano, che spesso usi nei testi, possa essere un ostacolo per chi non lo capisce e che quindi le liriche possano non arrivare del tutto.

Luca: Il mio problema principale non è far arrivare le liriche ma tirare fuori il veleno che ho dentro. Quando l’ho tirato fuori ho già ottenuto il settanta per cento del risultato che volevo ottenere, poi tutto quello che viene dopo, se il testo piace, se smuove, se spinge a fare qualcosa, è tutto grasso che cola. Però il motivo fondamentale per cui faccio musica è perché è il mio modo di riuscire a mantenermi vivo… assumo veleni nella vita di tutti i giorni e riesco ad espellerli scrivendo canzoni e scrivendole come le penso. Certo quando ti occupi di comunicazione ogni tanto il problema di farti comprendere te lo devi anche porre, infatti in alcuni casi ho edulcorato alcune espressioni ed ho usato un napoletano più simile a quello che si ascolta nei film di Totò che quello che si parla realmente a casa mia. Comunque le canzoni arrivano anche se ascolti la versione strumentale o se senti il tono con cui sto pronunciando le parole. Poi i testi sono disponibili in rete o sul disco. Insomma non ci vuole un grande sforzo per tradursi una cosa se ti interessa, io penso che quelli che hanno lo stimolo a tradursela se la traducono, quelli che non c’è l’hanno forse è anche meglio perderli che trovarli, perché se vuoi ascoltare la musica senza fare un minimo di attenzione a quello che dice puoi ascoltare anche quella di qualcun altro, che magari dice cose meno ricercate. Poi noi siamo da sempre promotori di una società multietnica, multirazziale, aperta a tutte le diversità. Ognuno porta il suo linguaggio, oltre che le sue abitudini, la sua storia, la sua cultura, dentro al calderone che è la nostra nuova società e quando troviamo il modo per farli convivere tutti quanti insieme diventiamo solo più acculturati, più aperti, migliori.

Massimo: Aggiungerei a questo ragionamento il fatto che il dialetto napoletano ha una ricca storia, la diffusione della canzone napoletana su tutto il territorio nazionale penso che un po’ aiuti alla comprensione del dialetto. Alla fine siamo stati fortunati, se avessimo cantato in sardo probabilmente sarebbe stato più difficile arrivare a tutti. Il cinema, la letteratura, la poesia napoletana hanno avuto un seguito e un successo non indifferenti, lo stesso Pino Daniele ha cantato i primi suoi quattro dischi in un napoletano anche più stretto e difficile del nostro.

RockShock. Perché Cattivi Guagliuni sia come primo singolo che come titolo dell’album?

Luca: Perché è una giusta sintesi. La discussione c’è stata, perché dal punto di vista musicale non rappresenta tanto il resto del disco. Se uno dalla canzone si aspetta di sentire la sonorità generale dell’album allora Cattivi Guagliuni è un singolo-pacco, perché nel disco ci sono molte più cose dal punto di vista musicale. Però il testo in qualche maniera sintetizzava lo spirito con il quale sono stati affrontati tutti gli altri testi, anche quelli più propriamente politici come Italia Spa e La Paranza di San Precario. Tutto l’album nasce con l’intento di raccontare gli ultimi, perché noi stessi siamo ultimi, anche se tra gli ultimi siamo quelli che hanno dei privilegi, il primo dei quali è avere un lavoro fisso che ci permette un certo agio e il secondo è che attraverso questo lavoro abbiamo la possibilità di esprimere con orgoglio e con rabbia il nostro essere ultimi.

RockShock. Ho letto su internet che non proprio tutti i canali vi passano il singolo e il relativo video.

Luca: Non c’è lo passano i network, invece sta avendo grandissimo successo nel cosiddetto underground, soprattutto in rete ma anche nelle tv e nelle radio ancora autonome, non legate a un network. Il pezzo sta girando e sta andando bene. I network non passano soprattutto il video perché sostengono che sia diseducativo, troppo forte, tutte cose che ti fanno sorridere se pensi alla qualità della televisione italiana, dove se non dici almeno tre parole sbagliate nella tua lingua, qualche parolaccia, non offendi qualcuno e non fai vedere un pezzo di zizza non vai da nessuna parte.

Massimo: Infatti proprio perché siamo tornati con uno scopo commerciale, per fare un grandissimo successo e arrivare per lo meno ai primi tre posti in classifica abbiamo scelto di fare un video di questo genere, con seni, piscine… che così potessero passare tutti!

(Con la stessa ironia i 99 Posse si sono divertiti a girare il remake “passabile” del video, Bravi Guagliuni, in alternativa a quello diretto da Abel Ferrara che trovate in testa a questa pagina)

RockShock.  La collaborazione con Abel Ferrara, che ha diretto il video, come è nata?

Luca: È nata da un incontro più o meno casuale. Durante la riunione per scegliere la sceneggiatura per il video Massimo ha proposto di provare a puntare alto, a registi che abbiano una sensibilità vicino alla nostra anche se di fama internazionale. Io ero quello che diceva “proviamoci però poi stabiliamo anche chi è che lo fa veramente, perché dopo che ci abbiamo provato e abbiamo avuto la porta in faccia dobbiamo essere comunque pronti a girarlo”. Quindi abbiamo iniziato a valutare: Quentin Tarantino sarebbe bello (ride, ndr)… però se è troppo anche Abel Ferrara sarebbe fantastico, sia per il suo soprannome, “bad boy”, sia perché ha fatto “Il cattivo tenente”, sia perché in generale nei suoi film ha sempre descritto gli ultimi. Quindi ci sembrava il regista adatto. Inoltre Massimo sapeva che aveva girato delle cose in Campania con una casa di produzione cinematografica di Scampia che si chiama “Figli del Bronx”. Siccome noi li conosciamo, li abbiamo contattati chiedendogli di mandare l’mp3 ad Abel. A lui è piaciuto e ha subito cercato di scrivere una sceneggiatura che fosse realizzabile con pochi soldi, perché gli abbiamo spiegato che il disco era autoprodotto, che non c’erano i miliardi ai quali lui è abituato quando fa un film. Si è messo così a disposizione che non solo ha scritto una sceneggiatura semplice da realizzare, ma si è portato dietro parte del suo staff, il suo costumista, il suo scenografo, un cameraman e il suo montatore e poi ci ha anche proposto di incontrarci a Venezia, dove si trovava per il Festival del cinema, per risparmiare anche sulle spese, visto che lui lì era spesato. A questo punto mancava solo la location. Abbiamo scoperto che quelli che hanno occupato il Teatro Valle di Roma stavano occupando il Teatro Marinoni a Venezia. Il teatro si trova all’interno di un ospedale abbandonato, per cui occupando il teatro hanno occupato anche l’ospedale, che ci forniva tutte le location che ci servivano. Tutto quello che mancava, dai tecnici delle luci, agli attori, alle comparse, ad aiuti nella scenografia ce lo fornivano gli stessi occupanti, essendo quello il loro lavoro. Per cui tutto per caso. Quando ti capitano questo tipo di coincidenze e di casualità non puoi che rivedere la tua laicità e ammettere che Dio c’è e ti vuole pure bene!

Massimo: Come dicevano i Casino Royale “Di sicuro là sopra qualcuno ci ama, però oggi non è in casa”!

RockShock. Artisti contemporanei italiani e non che stimate da consigliare ai lettori di RockShock?

Luca: Michele Caparezza sicuramente, Banda Bassotti, Assalti Frontali, Co’sang, Club Dogo, Asian Dub Foundation, Manu Chao, Chemical Brothers, Prodigy, Red Hot Chili Peppers.

Massimo: Gogol Bordello, Ska-P, Macaco, Sergent García. Ce ne sono parecchi che stimiamo, anche perché prima di essere musicisti siamo ascoltatori. Sinceramente, anche se dell’ultimo periodo non conosco tutto benissimo, devo fare ufficialmente i miei complimenti a Daniele Silvestri perché penso che abbia scritto delle cose bellissime.

Luca: Concordo e comunque il prossimo disco di Jovine spaccherà tutto! In questo momento è la cosa che ascolto di più, ho i provini in mano perché collaboro alla realizzazione dell’album e quindi lo ascolto tutti i giorni.

Massimo: Sentirete!

 

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