Il Teatro degli Orrori: Roma, Circolo degli Artisti, 03 marzo 2010

Serata entusiasmante per il pubblico del Circolo: Il Teatro degli Orrori ha dimostrato come sia possibile adattare la lingua italiana al noise-rock di matrice californiana

Il Teatro degli Orrori

Roma, Circolo degli Artisti, 03 marzo 2010

live report

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Foto da musicbangs.files.wordpress.com

Una band acclamata dalla critica è da tenere quantomeno in considerazione: soprattutto se non si è totalmente convinti della sua qualità effettiva. È questo, in fondo, ciò che mi ha spinto ad andare a vedere il concerto, al Circolo degli Artisti, de Il Teatro degli Orrori: una band appunto i cui album, figli di un noise-rock solo in parte debitore delle sfuriate à la One Dimensional Man – da cui proviene buona parte del gruppo –, delineano certamente un calderone sui generis, nel senso dell’ambiziosa combinazione fra elementi di varia natura, tanto nella tensione post-hardcore strumentale di stampo anni novanta (Jesus Lizard in primis) facilmente rintracciabile qua e là, quanto nella ricerca di lirismo e spessore poetico – appunto “teatrale” nell’intonazione – che ha frugato in buona parte nella canzone d’autore italiana (e non) degl’ultimi quarant’anni; ma la cui pretenziosità risulta a mio parere un po’ difficile da mandare giù, rischiando di sminuire quelli che erano i referenti teatro-letterari da cui ha preso forma tale disegno musicale.

E nonostante tutto, il pubblico ha mostrato senza timore il proprio assenso per lo ‘spettacolo’ (stavolta la parola non è assolutamente fuori luogo), con tanto di testi ripetuti a memoria, cori empatici, applausi prolungati, urla, fischi, parole d’incoraggiamento e via dicendo. E in effetti non gli si può dare poi tanto torto, considerando l’abilità con cui la band è riuscita a imbastire un live ricco di matericità sonora e riferimenti quasi enciclopedici all’intera storia del rock estremo del secolo scorso – in particolar modo dell’ultima decade – con il frontman Pierpaolo Capovilla certamente non all’altezza di un David Yow, ma comunque fantastico istrione e declamatore: quasi una sorta di Carmelo Bene (concedetemi il paragone..) del rock.

Quel che rende la musica del Teatro tanto digeribile è appunto la sua ‘commestibilità’ programmatica, sapientemente architettata – non dico furbescamente, non sarebbe giusto – dal gruppo, che pur pescando i propri ingredienti nell’oceano del noise-rock (anche da quello più oltranzista), appare comunque scafato nell’orchestrare una musica tutto sommato adatta(bile) alla lingua italiana – soprattutto per un’impostazione letteraria – andando a smussare gli angoli dove necessario – al fine di metter le parole in primo piano – e acuminandoli quando invece la bolgia è richiesta.

Dopotutto l’enfasi del live era tirata al punto giusto, e anche Capovilla non ha esitato un istante, continuamente in balia della propria voce, e le parole sputate con sufficiente risentimento, sia nelle canzoni d’amore (sempre problematico), che in riferimento alla politica o ad altre tematiche sociali. Quel che però mi lascia ancora profondamente perplesso rispetto al concerto (e alla musica del Teatro più in generale) è il dubbio circa la riuscita effettiva dell’intento poetico-musicale del progetto, che va a mio parere a regredire qualitativamente, in più di un’occasione, per via di ovvietà testuali difficilmente perdonabili. Sarà che non c’ho capito niente, sarà per un mio limite, ma va bene così: in tal caso chiederò scusa alla band, alla critica e al pubblico…

La nostra recensione di A Sangue Freddo

e la nostra videointervista del 2008

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