Il Pan del Diavolo fa le pentole e i Criminal Jokers le suonano

Una delle più interessanti realtà del nostro panorama indie s'espande e diventa una band. Intervista a Il Pan del Diavolo (e foto gallery del concerto di Firenze)

Pan del Diavolo + Criminal Jokers

Firenze, Flog, 24 novembre 2011

live report

intervista

foto gallery

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pan del diavoloA parte l’umoristico titolo dell’articolo, non c’è niente da ridere riguardo al progetto che Il Pan del Diavolo, Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo, hanno imbastito, coinvolgendo i pisani Criminal Jokers nel loro tour, aggiungendo al loro logo la parolina Band. È tutto molto serio vedendoli suonare. Dopo il soundcheck, incontro Alessandro e Gianluca, ma non insieme, per piccoli problemi tecnici sul palco da risolvere immediatamente. Così inizio a parlare con Alessandro sul retro dell’Auditorium Flog di Firenze, è il 24 novembre e non è caldissimo.

Rockshock. Ho letto un’intervista a Brian Eno dove dice, in estrema sintesi, che la musica può nascere dall’amore verso un’idea o dall’odio verso il resto del mondo, inteso musicalmente. Voi come vi ponete di fronte a questa tesi?

Alessandro. Odiare tutto per smontare una cosa e ricostruirla da capo è una condizione necessaria e sufficiente per agire, d’altra parte è anche vero che se si segue un’idea, magari già esistente e poi la si usa a proprio modo, può diventare un’altra cosa interessante e nuovo. Sia la strada della distruzione che la strada della trasformazione portano a qualcosa di nuovo. Ad esempio non è che i White Stripes si siano inventati qualcosa di nuovo. Noi, come chi è nato 40 anni fa, abbiamo subìto l’influenza degli altri fenomeni musicali, e non abbiamo potuto sin da subito scegliere cosa ascoltare, ma “subivamo” ciò che ci veniva proposto. Ci poteva piacere o non piacere. Se non ti piace, fino ad odiarlo, o vai a cercare qualcos’altro o provi te a fare qualcosa di diverso, anche perché sentire alla radio Giusy Ferreri che duetta con Tenco, non fa piacere. In fondo, nel rock sopratutto, i modellli sono quelli che conosciamo e non possiamo farne a meno, non si può fare finta di niente.

Rockshock. Dici che tutto non si può fare, su cosa ti basi per le tue scelte musicali e no?

Alessandro. Cerco di non distrarmi e rimango concentrato su quello che faccio, sul mio progetto. Nella canzone parlo della mia vita personale, nella quale vorrei fare tutto, lavorare, stare con la mia ragazza, e tutto il resto, e cerco di fare tutto. Musicalmente ho il progetto e mi faccio guidare da lui nelle scelte, poi ci può essere lo zampino del diavolo, e mi faccio solo l’illusione di scelta, poi le cosa vanno avanti da sole.

Rockshock. Riascoltando le vostre canzoni mi sono chiesto: i testi, devono per forza significare qualcosa? il che non vuol dire che le vostre non lo facciano…

Alessandro. Da quando è stato emesso il primo suono, sono già stati scritti testi che voglio significare tutto e di più, tipo Dante, e testi che non voglio significar niente, come il Dada, quindi come nipoti di tutta questa cultura, noi possiamo scegliere di giocare, perché comunque noi sappiamo che non esiste un unico modello da seguire e facciamo quello che vogliamo. Nel mio caso posso inseguire un’assonanza o una consonanza per la musicalità, oppure posso andare oltre la frase e inseguire un significato più preciso, o ancora usare gli stessi strumenti per indurre chi sta ascoltando a pensare qualcosa di suo.

Rockshock: Prendo ancora spunto dai tuoi testi per farti un paio di domande.“Ero innamorato di me stesso”, perché? Adesso non lo sei più?

Alessandro. Come mai sei andato a toccare questo tasto così delicato?

Rockshock: É una frase che mi ha colpito, lo eri ed adesso non lo sei più?

Alessandro. Confermo che prima lo ero e adesso non lo sono, faccio un po’ il paraculo!

Rockshock: Nascondersi sotto le coperte, come fa il protagonista di Scarpette a Punta, è un modo che hanno i bambini per difendersi dai mostri che ci circondano o per trovare la forza di combatterli. Bisogna tornare bambini per sconfiggere i mostri?

Alessandro. No, non mi nascondo sotto le coperte per scappare, anche perché prima o poi ti dovrai alzare dal letto. Oggi gli studenti hanno occupato l’areoporto di Pisa, vediamo cosa succede, perché tutto è possibile.

Con qualche minuto di ritado arriva Gianluca che si unisce alla chiacchierata.

Rockshock: Con i Criminal Jokers solo dal vivo?

Pan del Diavolo. Al momento è un progetto esclusivamente “live”, se poi dovessimo avere bisogno per il disco di un supporto di suoni come quello dei Criminal Jokers, gli andiamo a bussare a casa! In ogni caso per adesso è solo un modo per offrire uno spettacolo un po’ diverso dal nostro, con solo noi due sul palco. Che poi, da quando suoniamo, alla fine del concerto, sempre, almeno una persona ci diceva, “chissà se aveste un basso, una chitarra elettrica, una batteria, come suonerebbe”. All’inizio ce ne fregavamo, poi visto che comunque avevamo già in mente di provare un progetto del genere, per nostra scelta lo abbiamo realizzato.

Alessandro si allontana un attimo e ne approfitto per rifare la prima domanda, la stessa che ho fatto ad Alessandro all’inizio, per capire se la pensano allo stesso modo:

Gianluca.  A me piace seguire modelli perché comunque non si può prescindere da questi, ci piacciono e vanno fatti sentire nella musica. Per ciò che riguarda la “novità” della proposta musicale, abbiamo deciso di fare un passo indietro rispetto alle iperproduzioni e siamo tornati alle due chitarre ed una percussione, la cosa ha suscitato molta curiosità, meno male, e noi proseguiamo. Poi ci sono i testi che sono fondamentali, chiaramente, per quello che poi noi siamo.

Rockshock. Condividi in pieno i testi di Alessandro, ti ci riconosci?

Gianluca. Assolutamente sì, anche perché io sono subentrato al progetto e difficilmente mi affeziono ad un progetto che non mi piace. Avrei potuto fare il tournista, essere pagato per suonare e via. Invece mi sono riconosciuto nei suoi testi, mi sono piaciuti, mi piace come l’italiano è stato usato, con la fusione di folk, county, bluegrass, e quando Alessandro mi ha chiesto se lo aiutavo a dargli una mano a realizzare il progetto gli ho detto subito di sì. Penso che lui abbia trovato quello che cercava ed io mi diverto.

Rockshock. Voi fate pezzi relativamente brevi, pensi che sia una conseguenza del fatto di essere solo con due chitarre?

Gianluca. Il pezzo chiama la sua struttura ed è lui a dirti quello che serve dopo. Se ti servono quattro minuti è inutile allungarlo oltremodo, e se dura otto è perché il pezzo stesso a chiedertelo. Bomba nel cuore dura un minuto e mezzo, perché quello è il tempo che serviva per esprimersi, cinque minuti non sarebbero serviti a niente.

Ancora un paio di battute e poi a cena. Ci ritroviamo sul palco a mezzanotte circa. Come dicevo all’inizio, la cosa è serissima: la forza e la potenza che i due ragazzi siciliani sono già in grado di produrre con la loro normale configurazione, viene amplificata oltremodo dalla base ritimica dei Criminal Jokers. Francesco Motta suona la batteria in piedi ed usa tutta la sua fisicità per arricchire l’energia dei brani, liberando Alessandro dalla cassa con i sonagli. Francesco Pellegrini e Simone Bettin, riempiono con chitarra e basso gli spazi che dal vivo erano necessariamente vuoti. L’effetto è decisamente imponente, sembra che suonino da sempre insieme. Chissà se un giorno ci sarà una fusione, per adesso non se ne parla, per cui, godetevi lo spettacolo.

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