Deep Valley Blues
III
(Swamp Records)
stoner, heavy blues, southern, hard rock
_______________
Dopo l’omonimo EP d’esordio del 2018 e il primo full lenght Demonic Sunset del 2019, la stoner band calabrese Deep Valley Blues manda alle stampe il suo secondo album intitolato III, edito per Swamp Records e anticipato dall’uscita dei singoli Malley O’Mucy e Pills Of Darkness.
Il nuovo sforzo discografico del quartetto originario di Catanzaro (composto da Giandomenico Sestito alla voce e basso, Umberto Arena alla chitarra, Alessandro Morrone alla chitarra e Giorgio Faini alla batteria), nel suo aspetto compositivo chiaramente derivativo ed evocativo, ma più maturo e corposo rispetto alle precedenti pubblicazioni, si incanala sui binari calligrafici di quell’hard rock blues di strettissima discendenza seventies e di matrice anglo-americana, continuando ad alimentare, nel merito di una coerenza stilistica e nella sua onestà esecutiva e passionale, il fuoco sciamanico e ronzante del rock stoner californiano, pur non aggiungendo e non togliendo nulla a quello che è il volume ortodosso del paradigma di genere a cui fa riferimento.
Se da un lato i Deep Valley Blues, noti anche come i “Bronco Buster della Città tra i Due Mari”, recuperano le atmosfere desertiche e lisergiche d’oltreoceano della Sky Valley, dall’altro cavalcano lo stesso groove selvaggio e speziato che ribolle dalle viscere della terra da cui provengono, tenendo alto il vessillo del rock made in sud insieme ai loro conterranei El Rojo-Stoner Rock.
Le undici tracce di III (di cui una in italiano, Maschere, e due strumentali, Epitaph (Noir Ballad) e Talisman), legate dal filo emotivo-conduttore del blues, condensano un immaginario introspettivo, onirico e sacrale che trae ispirazione tematica dal massacro di Jonestown, dalla morte del leggendario bluesman Robert Johnson, dalla narrativa di Edgar Allan Poe e Lovecraft e dalla prospettiva metaforica e psichedelica della montagna, che nel dualismo bipolare tra vetta e abisso analizza gli aspetti più reconditi dell’animo umano, perennemente in bilico tra seduzione e pericolo, tra desiderio di innalzarsi e timore di cadere.
Alternando intensi e legnosi aromi di whiskey del Tennessee a forti esalazioni di catrame, in questo capitolo che chiude una ipotetica trilogia, i Deep Valley Blues sviluppano un sound abrasivo, tagliente, martellante, grasso, essiccato e affumicato (che nel giornalismo musicale verrebbe descritto come “fat & loud”), accompagnato da una pasta timbrica ossessiva, rauca e corrosiva, che ricorda un mix ibrido tra John Garcia dei Kyuss, Rusty Day dei Cactus e Al Cisneros degli Sleep, da cui fuoriescono diverse sfumature sonore: dalle polverose venature southern dei Lynyrd Skynyrd ai riff granitici e smarmittati dell’heavy blues di marca Motörhead e Monster Truck, dagli assalti stoner che rimandano ai primi Kyuss di Wretch e Blues For The Red Sun alle graffianti ritmiche classiche dell’hard rock, calandosi talvolta nei pantani fangosi dello sludge e del proto doom sabbathiano, fino a mescolarsi al virtuosismo tecnico e incendiario del retaggio psych blues hendrixiano.
https://www.facebook.com/deepvalleyblues/
Gli ultimi articoli di Andrea Musumeci
- Tindersticks: recensione di Soft Tissue - October 4th, 2024
- Cambra: recensione di Scatole - September 20th, 2024
- Paris Paloma: recensione di Cacophony - September 18th, 2024
- Piccolo Circo Barnum: recensione di Avamposti - September 2nd, 2024
- Sandflower: recensione di Lieve - August 26th, 2024