Tenebra: recensione di Moongazer

Con Moongazer i Tenebra si confermano alfieri di uno stoner rock che trova moltissimi punti di contatto con le sonorità seventies.

Tenebra

Moongazer

(New Heavy Sounds)

stoner

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TENEBRA_Moongazer-recensione (1)C’era molta attesa da parte degli addetti ai lavori in merito alla nuova fatica dei bolognesi Tenebra, tra gli alfieri di uno stoner rock che trova moltissimi punti di contatto con le sonorità seventies dei Black Sabbath e dei Blue Cheer. Dopo aver ascoltato attentamente Moongazer, l’impressione che se ne ricava è che ci si trovi dinnanzi ad un buon disco, spontaneo e non di mestiere, che prende in pieno le influenze summenzionate.

I nove brani, che sono stati confezionati con ottimo gusto, risultano essere un grosso monolite che si abbatte sulla testa degli ascoltatori, visto che sono pregni di chitarre toste e ritmi molte volte cadenzati che sembrano sfociare nel doom.

Tanto per fare un esempio, Carry My Load è un giusto mix tra i summenzionati Black Sabbath e i Kyuss, con il cantato di Silvia Fennino che si erge ad assoluto protagonista. È così in questa traccia, ma lo sarà per tutta la durata di questo full length che non ha mai un calo da un punto di vista qualitativo.

Facendo un salto indietro le cose si mettono subito bene con l’accoppiata Heavy Crusher e Cracked Path che non fanno prigionieri per come sono strutturate e per come vengono suonate da una band che ha una grandissima propensione tecnica che, fortunatamente, non sfocia in onanismi e virtuosismi di sorta.

Ci sono anche diversivi di sorta come Winds Of Change (non è una cover del noto pezzo degli Scorpions) che vira verso territori blues, mentre Stranded è, probabilmente, il loro sentito omaggio ai Black Sabbath (sembra quasi di risentire gli echi di War Pigs, soprattutto in fase iniziale).

 

Nel finale si racchiudono le perle più belle. Si parte con la devastante Space Child che sarebbe fantastico ascoltare in sede live, perché racchiude potenza e atmosfere decadenti alla Alice In Chains.

Si continua con un altro blocco di marmo che risponde al nome di Dark And Distant Sky, (fantastico l’uso del mellotron), in cui c’è tutta l’ispirazione di una band al massimo delle forze che strizza l’occhio, ancora una volta, alla chiave di tutto, ovvero il blues e si termina con Moon Maiden che parte con un giro di basso che ricorda i Pink Floyd e trova nell’ospitata di Gary Lee Conner degli Screaming Trees la giusta chiave per rendere questa canzone epica e sognante.

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Francesco Brunale
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