Solarstone: Touchstone

Dopo Electronic Architecture, ecco il tocco incantato della pietra solare, che ridisegna i confini della trance e apre a nuovi sottogeneri e raggiunge una nuova tappa nel suo percorso artistico personale

Solarstone

Touchstone

(Cd, Solaris Recording)

trance, balearic, chill out

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Solarstone- TouchstoneTouchstone rappresenta, contemporaneamente, l’ultimo capitolo di un’avventura iniziata quindici anni fa con Sam Tierney e Andy Bury, e l’ennesima rinascita artistica dell’artista inglese con il terzo album in studio.

Parlo al singolare perché è Rick Mowatt il burattinaio che attualmente muove i fili elettronici di SolarStone, in quanto gli altri due hanno preso strade diverse: il primo ha lasciato nel 1997, mentre il secondo solo qualche anno fa, nel 2006.

Rick è stato influenzato, cosa peraltro successa anche ad altri inglesi, dall’atmosfera folle e club-addicted di Ibiza e nel corso di questi anni ha inanellato molti successi, fino a diventare una delle colonne portanti del grande big bang della trance a fine anni ’90.

La hit più famosa è Seven Cities, che ha inaugurato l’era “anthem” e che ha venduto mezzo milione di copie, remixata anche da Armin nel 2002.

Ma i successi sono molti altri, The Calling tra i primi singoli, ma anche Impressions, Solar Coaster, e, più recentemente, Like A Waterfall – prima traccia di In Search Of Sunrise 4 Latin America – , e ancora Late Summer Fields e Rain Star Eternal.

A grandi linee il percorso artistico del compositore, dj, tastierista e produttore inglese è questo, seguendo una linea immaginaria che ci porta al terzo album in studio: Touchstone.

L’album apre con Is There Anyone Out Of There, titolo che richiama i Pink Floyd, dai toni piacevoli e d’atmosfera, potrebbe essere la colonna sonora di un risveglio da sogni profondi.

Ultraviolet arriva subito dopo, colpendo nel segno. Infatti le ritmiche break e i suoni chilly regalano emozioni, nutrono l’anima, aiutati egregiamente dai vocals femminili.

La title-track Touchstone, invece, ha il sapore perso nelle pieghe del tempo di Seven Cities e, pur essendo ben curato nelle chitarre e nei suoni di tastiera, non riesce a eguagliare i suoi stratosferici predecessori. Forse l’unica vera differenza è la presenza di un ritmo spezzettato.

In rapida successione c’è Electric Love, dove l’energia inizia ad aumentare, sommata alla splendida voce di Bill McGruddy. Il risultato è una buona traccia uplifting trance, o, se preferiamo usare un termine del passato forse più appropriato, dream trance.

Altro lavoro degno di un’ascolto è Twisted Wing, dove il lavoro break beat rallenta i ritmi pur mantenendoli vivi, per fare spazio a un’atmosfera maestosa d’orchestra,  con sullo sfondo suoni analogici a chiudere la cornice.

Bisogna invece arrivare alla traccia dieci, Zeitgest, per raggiungere le battute esplosive per cui la trance è famosa. Infatti ritroviamo aloni nostalgici di un’età dell’oro molto lontana dall’universo techy moderno, con lo zampino del produttore finlandese Orkidea.

Quest’ultimo ha collaborato anche in Slowmotion, dove a dispetto del titolo i ritmi sono serrati e ricordano vagamente Profondo Rosso con tinte quasi psy. Le voci contribuiscono a creare un’atmosfera da film horror con un lieto fine.

In conclusione l’album convince, è dotato di creatività e sa spaziare da tinte immobili e rilassanti più spiccatamente chill out, fino ad aree più deliranti ed energiche più care alla uplifting. Forse, l’ego del musicista spesso prevale sul dj e sul producer, ciò talvolta lo spinge a inserire riff di chitarre superflue o vocals di troppo in brani già di per sé ottimi.

In ultimo, Mixmag ha così definito Touchstone: “essenzialmente una ricalibrazione dell’estate ’99 per il 2010”.

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Damiano Colaci
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