The War On Drugs: Slave Ambient

Slave Ambient, nuovo album dei The War On Drugs, è basato su una semplice ricetta: una piccola dose di songwriting di tradizione americana, un pizzico di shoegaze e un pizzico di dreampop

The War On Drugs

Slave Ambient

(Cd, Secretly Canadian)

Songwriting

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The War On Drugs- Slave AmbientA 3 anni dal fortunato esordio con l’album Wagonwheel Blues tornano i The War On Drugs seppure in formazione rimaneggiata.

Gli ingredienti sono gli stessi dell’esordio seppure con meno personalità: una piccola dose di songwriting di tradizione americana in stile Bob Dylan/Tom Petty, un pizzico di shoegaze, un pizzico di dreampop e qualche pensiero confuso.

L’apertura di questo Slave Ambient spetta ad uno dei migliori brani dell’album, Best Night è orecchiabile e sognante quanto basta per accompagnarci verso le fredde giornate invernali che, purtroppo, non tarderanno a venire.

Più classico nella stesura Brothers che fa leggermente il verso a Tom Petty.

Anche I Was There prosegue sullo stesso standard, mentre Your Love Is Calling My Name è di discreta fattura e ricorda le sonorità degli ultimi Arcade Fire.

Gli oltre 2 minuti dream-ambient di The Animator fungono da intro a Come To The City, brano con spiccate attitudini shoegaze, subito seguito da una sorta di outro intitolato Come For It.

Con l’entrata di un pizzico di mistura lisergica arriva anche il brano It’s Your Destiny che lascia però alquanto indifferenti all’ascolto, così come la Reprise strumentale di City.

Baby Missiles riporta il lavoro dei The War On Drugs su un binario interessante, con sonorità indie rock più contemporanee

La strumentale e rumorosa Original Slave ci porta alla chiusura in pompa magna con il brano più bello. Blackwater è una bellissima ballata che ricorda il miglior Dylan. Da sola potrebbe valere metà del costo del cd.

Questo Slave Ambient non è di facile ascolto e manca un po’ di idee chiare. I The War On Drugs, possono realizzare buona musica ma dovrebbero semplicemente dedicarsi allo stile che sanno fare meglio, quello dei due brani che aprono e chiudono l’album. Le sperimentazioni lasciamole fare ad altri.

 

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Fabio Busi
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