La Luz: It’s Alive

Disco di surf revival per le quattro americane La Luz: le dodici tracce di It's Alive portano alla riscoperta del genere nato sulle spiagge californiane

La Luz

It’s Alive

(Cd, Hardly Art)

surf-rock

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Seattle, patria per eccellenza del grunge, è la città di provenienza di questo quartetto tutto al femminile che suona musica surf. La band La Luz (“la luce” in spagnolo) è reduce da un EP dal titolo Damp Face rilasciato l’anno scorso e che aveva già fatto intravedere la buona fattura del progetto musicale, trattandosi comunque di un semplice revival, senza particolari innovazioni stilistiche (al contrario per esempio di gruppi surf-revival degli anni ’90 come The Mermen e Shadowy Men On A Shadowy Planet).

It’s Alive è il nome del loro primo album, ispirato tanto a gruppi surf strumentali (Les Jaguars, Link Wray, The Ventures) quanto a girl group degli anni ’50 che regnavano nell’ambito doo-wop (The Chiffons e The Marvelettes). Il disco gioca tutto su twang chitarristici à la Duane Eddy e sulle armonie vocali in stile Beach Boys.

Atmosferici e ritmati, i 12 brani scivolano grazie alle voci cristalline e sensuali delle quattro girl, con una strumentazione classica basso-batteria-chitarra, a cui si aggiunge una tastiera retrò sixties.

Sure As Spring che apre It’s Alive è probabilmente il loro manifesto: armonie vocali melliflue, chitarra twang e organo si intrecciano perfettamente culminando in un ritornello irresistibile. Morning High è un brano che sembra circondato da un alone celestiale grazie alle voci eteree: è la dolce sveglia mattutina che ognuno vorrebbe ricevere. Big Big Blood all’inizio fa presagire alla ballatona strappalacrime con organo da chiesa in primo piano e cori angelici; invece si trasforma prontamente in una galoppata nel deserto sconfinato.

L’album si muove anche su territori doo-wop (la lenta atmosferica What Good I Am? e la ritmata Pink Slime), non disdegnando tocchi marziali come All The Time e Call Me In The Day (con quest’ultima sempre nella scia del doo-wop). In mezzo alla dolcezza dei cori femminili figurano anche tracce che sono in antitesi con le atmosfere luminose: è il caso di episodi strumentali come la lugubre Phantom Feelings e l’incubo sotto il sole cocente di Sunstroke. Chiude il disco la ballata spettrale à la Mazzy Star di You Can Never Know.

It’s Alive è un album che scorre piacevolmente dall’inizio alla fine, una fedele riproduzione del surf delle origini: questo dei La Luz è un disco che farebbe sicuramente felice uno come Quentin Tarantino.

 

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