Korn: The Paradigm Shift

Ecco di ritorno i Korn! The Paradigm Shift è rabbia agrodolce, spirito morbido con i soliti sprazzi duri di marchio korniano che colorano un album altrimenti buoi e oscuro

Korn

The Paradigm Shift

(CD, Caroline Records)

nu-metal, alternative metal

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Ecco di ritorno i Korn! I pionieri del nu-metal che, assieme a Deftones e altri degni compari, tengono lucide le pareti del semprevivo e illuminato corridoio, di questo immenso labirinto chiamato metal. Corridoio forse troppo affollato per i miei gusti, ma i Korn qui, ricordiamoci, sono i guardiani che dettano legge e ordine.

Tornano con The Paradigm Shift, undicesima fatica (si fa per dire), dell’immensa trama di questi soggettacci della West Coast. Rabbia agrodolce, spirito morbido con i soliti sprazzi duri di marchio korniano colorano l’album che, nei suoi tratti bui, dove la novità non riesce a prevalere, ripropone quei vecchi ambienti sinistri e sonorità grattate  dell’album omonimo e di Issues; insomma, quelle invenzioni geniali che hanno decretato l’immortalità del gruppo. Tornano forse con la necessità di stendere un velo pietoso sul precedente The Path of Totality, disco indecente di cui mi è ancora completamente oscuro il senso delle varie collaborazioni con Skrillex, o altri strani ceffi della scena dubstep, che hanno dato vita a mastodontiche tamarrate. Ho paura, però, che The Paradigm Shift non sia il velo giusto.

Le danze si aprono con Prey For Me. La regola del commercio dice che, se vuoi vendere un album, in cima devi mettere un suono che lasci l’ascoltatore inerte e senza la forza di togliere le cuffie. Sì, i Korn su Prey For Me l’hanno fatto, ma solo per i primi trenta secondi, dopodiché il pezzo si perde per ritrovare luce solo con il ritornello che è davvero coinvolgente. Sulla stessa linea la traccia successiva Love & Meth, forse il vero anello di congiunzione alle alte vette di Issues.

Dico sempre che l’album perfetto non può permettersi di annoverare al suo interno composizioni spente e, nel nostro caso, posso assicurare che con pezzi come What We Do, Mass Hysteria e It’s All Wrong non si va da nessuna parte. Tipici pezzi raffazzonati con l’unico scopo di costruire una tracklist abbondante – dodici canzoni – che in qualche modo giustifichi il prezzo. Nessuna idea, nessun messaggio, nessuno spirito. Anche un semplice stereo da cucina li odierebbe.

Ma ora andiamo ai pezzi migliori. La vera innovazione è Never Never. Vera punta di diamante de The Paradigm Shift. Alzi la mano chi si aspettava un pezzo così! Davis non gratta, ma dipinge l’aria con un’ugola calda e liscia, fluttuando tra cori, riff profondi e un ritornello che, posso assicurare, trovo meraviglioso. Il perché di questo abbandono di quegli schemi cui i Korn sono irrimediabilmente radicati da quasi vent’anni (!) ci è ignoto, ma l’idea è perfetta. Forse i fan più accaniti potranno urlare al tradimento ed eccepirmi che questo sia il pezzo peggiore, proprio perché non è da Korn! Ebbene, io rispondo che apprezzo il coraggio, soprattutto quando culmina in colpi di genio: tutto questo è Never Never.

Dopo questo, ecco Spike In My Vein. Vale lo stesso discorso fatto per Never Never. Idea buona, ordine e carattere. Anche qui struttura insolita, e il rap che propone Davis nel ritornello colpisce. Eccome. Crea tensione e, in una canzone, è fattore fondamentale. Così come tensione e rabbia vengono regalateci gentilmente da Tell Me What You Want, ottimo e massiccio brano di chiusura.

Di certo The Paradigm Shift non è la risposta che tanti si aspettavano, ma, come tutti gli albumi di gruppi che si rispettino, può regalare qualche sorriso. Lavoro tutto sommato poco più che mediocre.

Il nu-metal ha un grosso difetto: rischia facilmente di perdersi e di risultare noioso. E’ come un bambino che ha bisogno di continue attenzioni. Ha bisogno di vestiti nuovi, di cure nuove…ma soprattutto di idee, e con The Paradigm Shift non ci siamo proprio! Korn… alla prossima! Spero andrà meglio.

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Fabio Romanzi
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