Bluestones: Born in a Different Cloud

Born in a Different Cloud dei Bluestones è un album che racconta il mondo di oggi, sempre più ubriacato dalle pressioni dell’indifferenza

Bluestones

Born in a Different Cloud

(Autoproduzione)

post-grunge, stoner rock

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bluestones-born-in-a-different-cloudE’ arrivato il momento della ricerca; il momento di andare a vedere se sotto le ceneri del rock brulichi qualcosa di veramente esplosivo. Ebbene, con facilità si riesce a trovare un nome: Bluestones.

Gruppo post-grunge di Reggio Calabria, formato da Alessandro Romeo al basso, Vincenzo Cuzzola alla batteria e Roberto Iero che dà voce alle corde della chitarra e della gola. Attivi dal 2004, nel settembre 2013 si presentano con l’album autoprodotto Born in a Different Cloud che fa seguito ad altre fatiche, come il loro primo EP Tears World del 2007, anche questo autoprodotto, e le innumerevoli apparizioni dal vivo a livello locale, accompagnate anche da gruppi internazionali.

Il delirante Born in a Different Cloud nasce dalla necessità di raccontare qualcosa, dalla voglia di far vibrare le terre calabresi e siciliane al di sopra di quella sala di registrazione che con i suoi immensi watt, tra un pezzo e l’altro di questo album, squarcia l’aria circostante e fa inchinare i passanti.

Il delirio è immediato. Una radio immaginaria accompagna l’ascoltatore per tutta la durata dell’album, presentando ogni singolo pezzo di questo mondo nevrotico, apocalittico e iperteso disegnato ad arte dai reggini Bluestones. Radio Delirio con toni accesi introduce il prime pezzo: Sick Room. Avete presente la raccolta Deep Six del 1986? Ecco, da questa prendete i Melvins, vestiteli con abiti più moderni, pulite i loro strumenti ed ecco a voi Sick Room; perfetto incontro tra la maestria grunge/sludge che bruciava le strade dello stato di Washington e le contaminazioni moderne dettate da nuove ire e nuove sfide, di cui il grunge di oggi si fa carico. Sick Room è  un pezzo eccezionale e claustrofobico che si appropria dell’orecchio dell’ascoltatore catturando tutto il suo padiglione, sfruttando tutte le frequenze. Il cantante gratta con insistenza su quell’efficace riff di chitarra, a sua volta accompagnato da un basso che funge da solida culla di tutta questa frenesia.

Dopo la violenza di Sick Room ritorna Radio Delirio con il suo speaker che, trovandosi in un ambiente che sempre di più puzza di distopico quanto di rustico – quasi costretto a nascondersi urlando la sua rabbia tramite le frequenze FM – , lancia il secondo pezzo: Embrace. Siamo su ritmi più leggeri rispetto alla canzone precedente, ma forse il caos passa anche da qui: dal pensiero, dall’autoriflessione. Il cantante con l’effetto megafono cerca di lanciare il suo messaggio di aiuto e di rabbia al mondo che lo circonda, cercando una risposta che ovviamente non arriva, come sembrano testimoniare quei suoni ambientali del tutto e del niente che coprono gli ultimi minuti del brano. Suoni di nulla e di solitudine che terminano con una schitarrata finale che fa presagire a una reazione infuriata.

Passiamo ora al pezzo che dà il titolo all’album, Born in a Different Cloud. Brano che più rappresenta l’album, ma che, al contempo, di più rappresenta l’animo umano. La nuvola come metafora. La nuvola che vaga nel cielo come gli uomini in terra. Ogni nuvola conserva la propria tempesta e può creare il proprio caos. Esiste la nuvola del tifone, quella della pioggia leggera e quella dei fulmini; ognuna, però, pronta a offrire un disordine diverso. Donare la propria apocalisse personale per distruggere la monotonia, creando una diversità che giustifichi il cosmo, dove tutto trova una logica per il semplice fatto di esistere.

Questa diversità si porta avanti metaforicamente anche in musica, soprattutto parlando di un altro ottimo pezzo come Broken Mirror. Come tutti gli altri brani, è un’altra pagina di diverso colore scolpita nello stesso menu Born in a Different Cloud. Brano acceso, alternato e di forte impatto garage.

Alla fine dell’album  c’è ancora lo speaker – qui stanco ma sempre folle – che presenta l’ultima canzone Medusa/Slut che, a mio avviso, è un’altra pietra miliare dell’album. Il cantante cavalca melodie delicate e corpose, seguite da riff elastici e morbidi. Ottimo pezzo di chiusura che riassume perfettamente ansia, rabbia, inquietudine e angoscia dei Bluestones. Belli soprattutto i cori che ricordano vagamente quelli di Serj Tankian e compagnia.

Born in a Different Cloud è un album che racconta il mondo di oggi, sempre più ubriacato dalle pressioni dell’indifferenza, una realtà che sottovaluta le ire recondite del singolo, sempre pronte a scoppiare da un momento all’altro per cercare di dare, quanto meno, un senso alla banalità del piattume quotidiano. Piattume voluto non dal singolo ma da quella strana entità collettiva che è creata involontariamente proprio dai singoli e che, paradossalmente, riduce gli stessi ad un mucchio impassibile ma comunque sempre vivo.

Born in a Different Cloud è di ottima fattura. Registrazione impeccabile e missaggio perfetto di Alessio Mauro, vera autorità reggina nel suo campo. Post-grunge, sludge, stoner e impercettibili note nu-metal danzano insieme, per dare vita ad un lavoro che è terribile rimanga legato ai confini di Calabria e Sicilia. In un periodo musicale come quello che viviamo c’è bisogno di gruppi che sfondino le pareti domestiche, per portare messaggi, speranze ma soprattutto qualità nell’aria; e i Bluestones sfondano! Ve lo assicuro!

 

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Fabio Romanzi
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