120 Days: 120 Days II

120 giorni sì, ma di sogni lucidi e di melodie da iperrealtà: chissà cosa ne avrebbe pensato Philip K. Dick…

120 Days

120 Days II

(Cd, Splendour Records)

industrial rock, EBM, techno

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120 Days IIE se una tempesta digitale stesse per scendere dal freddo nord fino a noi? Questo vento di synth probabilmente ci suonerebbe ugualmente familiare, dal momento che lungo il suo percorso ha raccolto diligentemente i pezzi di altre correnti, destrutturandoli, riarrangiandoli in un nuovo essere.

Questa tempesta si chiama 120 Days, traendo spunto da quello che è il romanzo di de Sade, il che, come vedremo, è indicativo dell’attitudine della band: trattasi di un quartetto norvegese approdato finalmente al seguito del suo primo album omonimo, datato ormai 2006.

Due anime convivono in 120 Days II. La prima è quella dell’EBM europea, di più diretta matrice tedesca e dalle sonorità più corpose e vicine al crossover e all’industrial rock: è qui che affiorano i vecchi tratti post-punk alla Killing Joke, visibili come in filigrana nell’atmosfera soffocante, nella scelta del nome, nel cantato.

La seconda viene diretta da oltreoceano ed è la techno made in Detroit, coi suoi loop dalle linee pulite e minimaliste. Spazio aperto anche a contaminazioni ritmiche dal gusto tribale, come nell’intro di SF. A prendere forma è un romanzo di fantascienza, un’allucinazione dell’era digitale, un sottosuolo di sampler.

Che i 120 Days siano dei tipi decisamente sopra le righe lo si può dedurre già dalle vicende biografiche della band, ma questa particolarità traspare in primis dalla loro musica, a volte robotica, ossessivo-compulsiva, vorticosa, altre sognante, eterea, cristallina. In arresto a un passo della realtà, sempre.

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