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Lonely Ghosts: Don’t Get Lost Or Hurt

Un’esplosione di note e luci psichedeliche risucchiata da un buco nel cielo. Tom Denney è il sole di questo sistema chiamato Lonely Ghosts.

Lonely Ghosts

Don’t Get Lost Or Hurt

(Cd, One Little Indians/Goodefellas, 2008)

pop, indie, noise

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lonelyghostsUn piccolo palco in un angolo, luci stroboscopiche, un ragazzo alto e magro che indossa una vecchiat-shirt. La piovosa Brighton sforna i Lonely Ghosts. In realtà, dietro il nome collettivo si nasconde l’anima di Tom Denney e, attorno a lui, amici che cambiamo a ogni esibizione live.

Dopo la rottura con gli Help She Can’t Swim, nell’estate del 2006 Tom da via all’esperimento diregistrazione domestica. Alla fine del 2006 il giovane inglese aveva scritto un numero impressionante di testi e altrettante basi fondendo pop, elettronica, folk e noise.

Il bottino viene sigillato nello scrigno Lonely Ghosts. E il tesoro evolve rapidamente in Don’t get lost or hurt, album d’esordio, pubblicato nel 2007 dalla O.I.B. Records, di questo giovane artista eclettico.

Lo stesso Tom, da noi contattato, ci ha detto:

Lonely Ghosts è provare tutto almeno una volta e non porre alcun limite a ciò che può essere e non essere fatto a livello musicale, di registrazione e performance live. Cerco di rendere il processo di scrittura divertente, così come divertente è suonare..voglio che il nostro sia un gruppo di amici che suona e non una band che si nasconde dietro il suono, lo stile, la scena o il pubblico. Non mi piace andare a vedere band che suonano perfettamente come se stessero suonando allo stadio, la musica non è perfetta e preferisco un briciolo di umiltà. La musica è qualcosa di molto importante e personale ma allo stesso tempo estremamente divertente. Ciò che cerco di fare è percorrere la sottile linea che separa il fare seriamente una cosa senza prenderla sul serio.

So Young, So Beautiful apre le danze di luci stroboscopiche, all’insegna dell’indie/noise piùgraffiante, melodia psichedelica che si lascia seguire e travolge, sulla falsa riga dei The Killers.

Plogh Through, Happy Lovers Friends Forever e It’s Time To Wake Up prendono per mano e trascinano in spirali che si fanno sempre più larghe e lente. Dall’elettro-pop si salta ad accenni acustici per arrivare al nocciolo lento di questa piccola perla indie. Maybe You Could Save Me è il lento per eccellenza, quasi lo si sente sulla pelle, la voce sporca e proprio per questo ancor più intensa. L’encefalogramma riprende a salire con la martellante The Unpopular Future, movimentata e ritmata tanto da far ballare anche gli irriducibili della tappezzeria. Good Times è venata di malinconico e struggente e riporta l’atmosfera dell’album sui toni più intimi. Le note spariscono risucchiate nel buco celeste di Hole In The Sky, ninna nanna quasi sussurrata che chiude l’album e lascia tranquilli e pronti al riposo dopo essersi scatenati.

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