Intervista a Samuel Katarro

Ad un mese di distanza dall'uscita del nuovo album Halfduck Mystery incontriamo Samuel Katarro, alias Alberto Mariotti, per una chiacchierata sul disco ma anche su Patti Smith, sulla sua chitarra, sugli anni 60 e molto altro

Incontriamo Samuel Katarro, nella vita Alberto Mariotti, chitarrista e cantautore di Pistoia prima di un suo live al Circolo degli Artisti di Roma. Dopo il suo esordio discografico con Beach Party, nel 2008, parliamo con lui del nuovo album, Mystery Halfduck, uscito lo scorso aprile. Un album più complesso e sinfonico del primo negli arrangiamenti realizzati non in solitaria ma con i suoi musicisti dando all’abum un gusto  sinfonico  con sonorità psichedeliche anni 60 che ruota tutto attorno al tema delle paure. Parliamo del disco ma non solo!

RockShock: Allora, iniziamo da una domanda iniziale molto generica…

Katarro: Come ti chiami?! (risate generali)

RockShock: Esatto, chi sei? (ancora risate). Seriamente, se dovessi descrivere e incuriosire chi non conosce la tua musica, come la descriveresti?

Katarro: Questa è la domanda più difficile, così all’inizio, a bruciapelo (con accento toscano doc, ndr). Che la mia musica è molto cupa ma anche molto colorata. Ecco direi questo. Poi di tutto il resto,  ci sono talmente tante cose nel mezzo che non saprei definire un genere, o forse non voglio perché non lo so. La base è folk, sono quasi strumenti acustici; il violino e la chitarra sono la parte consistente del sound, poi la batteria è suonata in modo anticonvenzionale, Simone (Vassallo) suona più come un percussionista che come un batterista rock, poi ci sono inserti di chitarra elettrica per i pezzi più rock’n’ roll. La base è folk rock contaminata da una marea di altre cose.

RockShock: Parlavamo della centralità della chitarra nella tua musica, qual è il tuo rapporto e il tuo approccio allo strumento? Quanto c’è di talento e improvvisazione e quanto invece di studio?

Katarro: Ho studiato due anni quando ero alle medie, non ricordo niente. Ho poi iniziato a suonare la chitarra elettrica in dei gruppi, in questo modo più rock’n’ roll che inconsapevolmente ho trasferito poi nel suonare la chitarra acustica. Poi ho iniziato a “giochicchiare”con le accordature e unendo queste due cose, il tocco violento e le armonie inusuali di accordature non standard, ho fondato un po’ il mio stile chitarristico.

RockShock: “Dobbiamo” parlare un po’ del disco uscito da poco, Halfduck Mystery, parlacene un po’ in generale poi magari entriamo più nello specifico.

Katarro: Torna facile parlarne confrontandolo con il primo (Beach Party, 2008) perché è molto diverso, anche se inconsapevolmente perché non avevo idea inizialmente di come il disco avrebbe suonato alla fine. È un aspetto formale che lo distingue da Beach Party, perché il modo di scrittura delle canzoni è stato analogo. Le ho scritte da solo con la chitarra acustica, incastrando delle linee vocali e mettendo poi il testo sempre, sempre alla fine. Poi però nell’arrangiamento è completamente diverso perché ho collaborato con Francesco (D’Elia) e Simone (Vassallo), che suoneranno anche con me stasera, e c’è molto la loro impronta, soprattutto di Francesco. E il risultato sono arrangiamenti pseudo sinfonici che richiamano quelli utilizzati dal cantanti anni 60 anche italiani, come Morricone con Gino Paoli.

RockShock: Proprio riguardo agli anni ’60, hai definito questo disco un “Inconsapevole omaggio” a quel periodo musicale. Come si realizza un inconsapevole omaggio?

Katarro: è un omaggio più legato, come dicevo, all’arrangiamento che alla struttura dei pezzi, è una cosa formale. Di suono. Solo chitarra e voce i pezzi non suonano particolarmente anni ’60 e la musica di quel periodo mi influenza ma come tutta la musica in generale, non più di altri periodi musicali.

RockShock: ecco proprio a proposito delle tue influenze musicali. Nel presentare il disco, fai degli espliciti riferimenti ad altri brani ad altri artisti. Incuriosisce questa cosa, controcorrente rispetto alla tendenza a rinnegare ogni possibile eco o somiglianza nella musica.

Katarro: Infatti il giusto atteggiamento sarebbe rinnegare tutto. È naturale, da un pezzo pensi al suo sviluppo, e pur non avendo pensato ad una artista ti vengono in mente assonanze musicali e magari segui musicalmente quelle assonanze, che poi possono essere totalmente soggettive. Magari chi ascolta non le trova proprio.

RockShock: Dicevi prima che il testo nei tuo brani viene sempre per ultimo, ma hai dato una sorta di filo conduttore ai pezzi dell’album: le paure.

Katarro: Scrivendo direttamente in inglese, nei testi mi preoccupo più della metrica in rapporto alla musica, poi spesso basterebbero un paio di versi per esprimere il concetto che vuoi comunicare. E da quei due versi sviluppo e comprendo quello che volevo dire. Un modo molto impressionista. Il filo conduttore delle paure l’ho scoperto a posteriori. Il disco non è un Concept album, ma mi piaceva dare una qualche omogeneità ai testi dei brani e questo mi sembrava il tema ricorrente.

RockShock: Lasciando da parte il disco, si è letto anche sulle riviste musicali di apprezzamenti illustri alla tua musica. Patti Smith, Julian Cope. Ci racconti com’è andata?

Katarro: Con Patti Smith ho avuto la possibilità di suonare alcuni bravi al Teatro del Sale di Firenze, durante la conferenza stampa della sua mostra fotografica. Alla fine del primo brano è venuta verso di me, che ero spauritissimo, questa figura quasi divina, non so Patti Smith ah un’aura astratta, una figura quasi ectoplasmatica, a parte che è molto magra, ma non è per quello, è proprio che è tre metri al di sopra di tutti. Mi stringe la mano facendomi i complimenti e lasciandomi imbarazzato ma contento. Poi sento che continua a parlare di me anche durante tutta la conferenza stampa.

RockShock: Beh bella soddisfazione…

Katarro: Si infatti ero piuttosto impazzito. Julian Cope invece l’ho incontrato durante un festival in Sardegna. Non mi ha visto suonare dal vivo perché suonava il giorno dopo. Ma avevo conosciuto i suoi tour manager e comunicato di voler far ascoltare a Julian il mio disco, in quanto è uno dei miei artisti preferiti. Lui quel giorno era un po’ imbronciato, non arrabbiato, non credo sia una persona che si possa arrabbiare, era infastidito dopo aver scoperto dal tour manager che il pomeriggio, in un intervista con una tv locale sarda nella quale si era dimostrato molto più preparato dei giornalisti sui misteri archeologici della Sardegna, essendosi lui occupato di queste cose anche in dei libri, il traduttore aveva travisato ogni sua parola, e ho preferito pur trovandomi nello stesso pulmino con lui e la sua band non infastidirlo al momento. Mesi dopo ho trovato però la recensione del mio disco sul suo sito ufficiale.

RockShock: Beh, altro bel riconoscimento. E parlando quindi di musica altrui domanda scontata ma sempre interessante, che musica stai ascoltando in questo momento, italiana e straniera?

Katarro: Di italiano oggi in macchina ascoltavamo il disco di Alessandro Fiori, dei Mariposa. Ed è un periodo che ascolto molto Neil Young perché ho bisogno di qualcuno che mi coccoli e lui mi sembra il personaggio giusto. Poi abbiamo ascoltato in macchina Scott Walker e Mondo Cane il nuovo progetto di Mike Patton, ma come sempre un po’ di tutto.

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