Hawnay Troof: Islands of Ayle

Vice Cooler realizza un album ambizioso, pieno di spunti creativi e indizi che rimandano in mente situazioni anomale, ma Islands of Ayle – per via dell’eccessiva voglia di stupire – alla fine non incuriosisce e passa inosservato

Hawnay Troof

Islands of Ayle

(Cd, Retard Disco/Southern, 2008)

rap, techno, pop

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Vice Cooler, con il moniker di Hawnay Troof, dà alle stampe il controverso Islands of Ayle: album contenente una nutrita varietà di soluzioni che spaziano dall’electro punk al rap fino all’industrial, ma che messe insieme hanno lo stesso effetto incendiario di un fuoco di paglia.

Nell’album passano in rassegna tredici episodi – alcuni dei quali sono solo brevi accenni – nati dai suoni e dalle allucinazioni raccolte in giro per il Mondo da Vice, nei venti mesi di live performance che hanno seguito la pubblicazione di Dollar and Deed (2006).

Vice rappa senza tregua facendo il verso all’approccio propulsivo dei Beastie Boys in Two Week Bruise, mescola suoni come un flipper in tilt nella cervellotica Front my Hope, si lascia prendere piacevolmente la mano nell’ossessiva Underneath the Ocean, ma poi cade inesorabilmente nell’ovvio (Bizarre Triangle, Out of Teen Revisited) e nel “divertente a ogni costo”. Scelte discutibili che fanno del suo Islands of Ayle un album noioso e senza un carattere definito. Peccato, perché i suoni da game over in stile Commodore 64 di Water e l’ottima The Gods are Crazy, adatta anche per il dancefloor, ci avevano messo decisamente di buon umore.

Le idee ci sono, manca il collante, il comune denominatore che permetterebbe a Vice Cooler di essere più concreto e soprattutto credibile.

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Roberto Paviglianiti
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