Fearing: la recensione di Shadow

L'esordio dei Fearing è un must per gli amanti del genere. Il suono non rivoluziona lo standard cold/darkwave nel quale invece con grazia si appoggia, ma riesce a travolgere con una malia seducente.

Fearing

Shadow

(Funeral Party)

gothic-rock, death-rock

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Oakland, ottava città della California adagiata sulla costa est della baia di San Francisco. È qui che è stato dipinto The hand resist him, conosciuto anche come il quadro maledetto di eBay, dall’artista Bill Stoneham, divenuto poi una vera leggenda metropolitana.

Un ragazzo (lui a cinque anni) e una bambola davanti a una porta a vetri dietro la quale aleggiano due mani. La porta a vetri rappresenta il confine tra il mondo materiale e quello dei sogni, la bambola è la guida che accompagna il ragazzo attraverso la porta, le mani alle loro spalle sono le vite e le diverse possibilità alternative al reale.

Osservare il dipinto ascoltando il disco d’esordio dei Fearing che proprio da Okland provengono, è come finire in un doppio sogno con una trama comune, la trascendenza volontaria, l’allontanamento da un mondo violento ed ostile e la volontà di andare oltre seguendo il ritmo interiore, l’unico che non potrà mai essere sbagliato.

Shadow, primo full lenght della band dopo due EP A life of none e Black sand (rispettivamente del 2017 e 2018) esce per la stessa etichetta che li segue fin dall’inizio, la Funeral Party Records ed è una vera fusione di stili tra coldwave francese, post punk europeo e primo shoegaze. Ne deriva un suono unico e riconoscibile tra le decine di band che gravitano nella scena musicale oscura emergente dell’ultimo periodo.

Durante l’ascolto vengono in mente le leggende del passato come Sisters of Mercy e del presente come Soft Kill ma innegabilmente la cupezza di alcune tracce abbraccia la pornografia dei Cure e la magnifica voce di James Rogers e il modo in cui la va vibrare mi riporta ai mai dimenticati Jesus and Mary Chain.

È una voce lontana, evocativa, malata, impura, malsana, una contrazione perfetta tra riverbero e distorsione ed echeggia in modo sinistro sotto la gamma di strumenti implementata dalla band. Un valore aggiunto inestimabile per questo genere che molte volte si adagia su un cantato baritonale, standardizzato e troppo simile ai cliché di riferimento.

Difficile scegliere nel mazzo, Shadow si snoda in maniera pressoché perfetta, ogni carta possiede un seme succoso pronto per diventare fiore ed immediatamente dopo frutto.

Intro apre quella famosa porta a vetri in maniera inquietante, l’atmosfera cupa e solenne alimentata da suggestioni ambientali si trasforma in Catacombs che non esito a definire uno dei brani più incisivi dell’ultimo anno. Il basso profondo ed il groove di batteria mischiati ad un pastoso post punk darkizzato travolgono tutti i sensi e quando James comincia a cantare si anima un mondo di ombre incantevole.

Picture perfect è una catena di note circolari che rientrano come pecorelle smarrite alla casa madre, ci si perde nel buio di una notte gelida guidati solo da una fioca luce che sembra allontanarsi ogni volta che ci sembra di poterla toccare. Il finale ridondante e pieno, la sovrapposizione di voci smembrate e la malinconia di fondo sublimano il risultato, difficilmente superabile. Still working hard è la prosecuzione ideale, ancora brume notturne, suggestioni nebulose, romantica fumosa resa. Così come Sherbert che segue a ruota in un loop irresistibile.

Amo The push ed il suo ripetere sordo To be like you per il modo in cui mi fa sentire, abbandonata e arresa ai ricordi con tutte le crepe che inevitabilmente si riaprono.

Good talks, Trail of grief e Glow, nella pur costante cupezza del suono globale, si sposano ad una sorta di spleen sognante, le luci si fanno più vive, c’è un tocco di nostalgico piacere, la tendenza è al rialzo e a tratti si riesce quasi ad immaginare un timido sorriso sulla bocca del frontman mentre vocalizza con il suo modo così speciale ed esclusivo.

Dopo Nothing new non poteva esserci niente altro, ballad piena, corposa, gonfia di inquietudine, una melodia torbida, sinistra e putrescente che si illumina nelle aperture centrali creando una vera dipendenza sonora.

L’esordio dei Fearing è un must per gli amanti del genere. Il suono non rivoluziona lo standard cold/darkwave nel quale invece con grazia si appoggia, ma riesce a travolgere con una malia seducente le anime in transito come la mia che mai perde la voglia di arrendersi alle emozioni.

Shadow è un sogno, Shadow è un incubo notturno, Shadow è la vita legata ad attimi eterni e perduti, Shadow è la capitolazione, Shadow è la speranza gonfia di un pathos che difficilmente troverete in giro in questi giorni ambigui.

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