An Evening with Manuel Agnelli, recensione concerto del 15 aprile 2019, Milano, Teatro Dal Verme

An Evening with Manuel Agnelli: sono andato a questo concerto con molto scetticismo e ne sono uscito stupefatto.

An Evening with Manuel Agnelli

15 aprile 2019

Milano, Teatro Dal Verme

live report

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An Evening with Manuel Agnelli

An evening with Manuel Agnelli, il titolo potrebbe essere pretenzioso e auto referenziale, eppure, in qualche modo, mi sono dovuto ricredere sulla nuova creatura del leader incontrastato degli Afterhours.

Era il novembre dell’anno scorso, quando mi telefonano per dirmi che ad aprile Manuel Agnelli avrebbe tenuto un concerto in teatro da solo senza gli After, in acustico e che sarebbe stato uno degli eventi più attesi della stagione musicale milanese. Il dubbio era molto alto.

In quel periodo stava finendo l’ultima stagione di Xfactor, che poi sarebbe stata anche l’ultima per Manuel e guardando le ultime puntate, mi ritorna in mente il giorno che viene annunciata la sua presenza al talent show in qualità di giudice.

In quel momento il pubblico si divide in due. Da una parte c’è chi storce il naso vedendo in questa scelta un tradimento da parte di chi, negli anni novanta, aveva fatto della ribellione, dell’anticonformismo, della provocazione il suo cavallo di battaglia e il suo tratto distintivo. Dall’altra, chi, molto più semplicemente, si chiede chi sia questo personaggio.

In tre edizioni Manuel si dimostra un giudice capace con la chiara attenzione verso una musica che non sia solo d’intrattenimento, un uomo con una grande cultura musicale, un personaggio che piace anche a chi non lo aveva mai sentito nominare prima. Nel frattempo ai suoi concerti il pubblico aumenta e per la prima volta, oltre ai fan della vecchia guardia, si vedono ragazzini adolescenti, mamme e zie.

Sinceramente, dopo Xfactor, la scelta di Manuel Agnelli, il suo evolversi in personaggio da show televisivo, l’avevo giudicata molto negativamente, l’avevo vista come un tradimento, come un piegarsi al dio denaro, non sincera, puro opportunismo. Parlando anche con persone che l’hanno conosciuto che hanno condiviso l’epoca d’oro della scena milanese anni novanta, ho avuto pareri discordanti. Chi lo giustificava dicendo che a cinquant’anni fosse comprensibile la sua voglia di evolversi, chi lo ricordava come un personaggio molto ambizioso e chi prevedeva un futuro da solista.

Mi ritrovo oggi a vedere Manuel in diversi programmi televisivi, sia come conduttore, sia come opinionista e quindi andare al suo concerto-evento a Milano, l’ho affrontato con un po’ di scetticismo.

Arrivo in teatro e non posso non notare subito due cose: la folla che è davvero notevole e il banchetto del merchandising che vende magliette, tazze, spille e poster con la faccia di Manuel Agnelli bella grande. Lo scetticismo continua ad aumentare, ma quando entro nella sala e mi accomodo, noto che la sala è gremita e che il palco è scarno, qualche luce, un pianoforte, delle chitarre, un Rhodes e un angolo fatto per Rodrigo D’Erasmo che accompagnerà Manuel nello spettacolo.

Dopo circa quaranta minuti di ritardo, si spengono le luci e Manuel sale sul palco, inforca la chitarra e parte con una versione molto personale, quasi irriconoscibile, di Place to be di Nick Drake. Il pubblico ascolta e si avverte molto la curiosità di sapere cosa succederà nelle due ore successive. Manuel lo avverte e dopo la prima canzone ringrazia soprattutto per la fiducia, perché pagare un biglietto per un concerto di cui non si sa nulla, dove non c’è un album da promuovere, un singolo da classifica, è un atto di fiducia e di stima nei confronti dell’artista. Chapeau.

Il concerto prosegue con brani storici degli Afterhours e cover dei Joy Division, Lou Reed, Nirvana, Springsteen, Tom Waits e Costello. Brani come Male di Miele, Bianca, Strategie, Ballata per la mia Piccola Iena, Non è per Sempre e Quello che non c’è (che chiude il concerto) infiammano la platea come se fossimo in un palazzetto.

Tra una canzone e l’altra, Manuel legge dei brani, pillole sparse di pensieri. Racconta aneddoti sulla sua vita come ad esempio quando nessuno voleva produrre Hai paura del Buio?, di quando era pieno di debiti, di quando andava in giro per l’Europa con il solo scopo di trombare (parole sue, ndr), di sua figlia, di sua moglie, della scomparsa del padre. Storie che fanno sorridere e che fanno pensare. Un altro momento toccante è quando sale sul palco Claudio Santamaria che legge Manifesto populista per i poeti, con amore di Lawrence Ferlinghetti e da pelle d’oca quando ricorda Kurt Cobain e Lou Reed.

Come ho detto prima, sono andato a questo live con molto scetticismo e ne sono uscito stupefatto. Poco importa che in alcuni momenti sembrava di essere sul set di Ossigeno (il suo programma in Rai) e poco importa che, nonostante tutto, la grandezza della propria morale è proporzionale al proprio successo.

 

 

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Michele Larotonda
Michele Larotonda

Michele Larotonda nasce a Potenza nel 1977, ma vive e lavora a Milano.
Scopre la sua passione per la scrittura durante i dieci anni trascorsi a suonare in una band in cui ricopre il ruolo di cantante e autore dei testi. Decisivo poi l’incontro con l’associazione culturale Magnolia Italia, grazie alla quale frequenta corsi di scrittura creativa e si avvicina al cinema scrivendo e realizzando cortometraggi che hanno avuto visibilità in alcune rassegne specializzate.
Scrive sulla rivista letteraria Inkroci, occupandosi di recensioni musicali, e sul blog letterario Sul Romanzo, dove recensisce libri. Ha pubblicato i libri “Sai Cosa Voglio Dire?” e “Il fascino discreto della Basilicata”.
“Il Sognoscuro” è il suo primo romanzo.

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