Wooden Shjips + Trans Upper Egypt
Roma, Init, 28 aprile 2010
live report
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Sono andato all’Init Club con un’amica che non conosceva i Wooden Shjips (sì, fortunatamente c’è ancora chi è disposto a pagare per un evento a scatola chiusa!). Lei non sapeva che fossero di San Francisco, e che esistesse tutta una storia legata a filo doppio con il concerto di stasera. Perché è proprio a “quella” San Francisco che i W.S. si rifanno in qualche modo, quella cioè dei Jefferson Airplane, dei Grateful Dead e dei Quicksilver Messenger Service.
La loro musica attinge tanto a quel sound, tipico dei sixties, quanto all’ossessività dei Suicidie e delle reinterpretazioni successive del periodo, a partire proprio dagli Spacemen 3 e proseguendo con Dadamah e compagnia bella. Ma tutto questo, alla mia amica, è stato spiegato a tempo debito.
Appena entrati nella sala ho realizzato subito che dovevo in qualche modo adeguarmi alla situazione: innanzitutto, che ci fa ‘sta ragazza vestita da coniglietta in giro con un cappello in mano!? Ho capito dopo un po’ che – probabilmente – distribuiva caramelle. Ma non erano caramelle psichedeliche quelle, anche se il senso alludeva certamente proprio a ciò.
E mentre cercavo di ricreare nella mia mente quella che poteva essere l’atmosfera del Matrix, cominciavano a suonare i Trans Upper Egypt (se non erro, una band in parte italiana e in parte francese): un quartetto di individui vestiti in modo primitivo/orientaleggiante – chitarra, batteria scarnissima, tastiere ed effetti – dediti ad uno psych-noise certamente interessante negli intenti, ma a lungo andare un po’ pesantuccio negli esiti. Ad ogni modo, da tenere d’occhio.
Si son fatti attendere un po’ i W.S., che poi in effetti non hanno suonato neanche troppo: su per giù cinquanta minuti totali, credo. Ma il concerto è stato comunque strepitoso: giacché la band ci dava dentro sul serio con tanto di brani lunghissimi-minimali-ossessivi alla ricerca più di “good vibrations” che del contrario, il basso intento a ripetere sempre le stesse note, Erik “Ripley” Johnson racchiuso in sé stesso – anche cantando con tanto di voce ultraeffettata – e la sua chitarra a diffondere suoni ingarbugliati implosivi e sputati come chewingum inacidito, il batterista Omar Ahsanuddin mai domo inebriato di groove motorik nel sangue nonché vero “motore” – appunto – musicale della band e il tastierista bravissimo a fungere da “colla” sonora del tutto e a ricamare accordi binari/monocordi, Suicide nel mood, psichedelici nello stile.
Devo essere sincero: la gioia aumentava in me di minuto in minuto assieme alla sbornia, e anche la mia amica, pur non conoscendo i Wooden Shjips (e neanche le loro “origini” in realtà) si è divertita un mondo – con mia gioia e sorpresa aggiuntivi – andando a screditare tutti coloro che credevano bisognasse essere perfettamente informati al riguardo di qualcosa per poterla apprezzare adeguatamente. Con mio disdegno per gli intellettuali immobili della serata.
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