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The Uglysuit

Sei ragazzi dell'Oklahoma, tutti intorno ai vent'anni, con la passione per la musica e per la vita. Nove brani leggeri leggeri che spaccano il cuore, riempiendolo di felicità

The Uglysuit

The Uglysuit

(Cd, Quarterstick/Self, 2008)

pop

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Avere vent’anni. Negli Stati Uniti come in Europa, o in qualsiasi altra parte del globo. Avere la consapevolezza di essere circondati da persone di plastica, traditi continuamente da false promesse. Inadatti ai compromessi, alla forma che si fa sostanza, all’apparenza fatua, al trionfo della furbizia sull’onestà.

Che fare? O ti suicidi o ti dai alla macchia. Oppure metti su un gruppo, e con la forza dirompente della musica cerchi di (ri)affermare, nonostante tutto, la bellezza della vita ed il potere dell’amore.

Per loro, e nostra, fortuna, The Uglysuit hanno seguito questa terza via, e da Oklahoma City sono partiti alla conquista del mondo, mandando alle stampe il loro omonimo album d’esordio, nove brani di straordinaria dolcezza, carichi di speranza e good vibrations.

Ascoltandoli, i sei ragazzi di provincia, facce oneste e animi puri, sembrano pervasi da un’aura mistica, un po’ come la copertina dell’album, baciati da uno stato di grazia e leggerezza che si rinnova traccia dopo traccia.

Snocciolandole come grani di un rosario, Brownblue’s Passing si avvia delicatamente per poi ritmarsi in una marcia marziale dal tono vagamente ipnotico; Chicago è la classica ballata puntellata da pianoforte e languide chitarre, arricchita da un refrain che si canticchia già al secondo ascolto; Happy Yellow Rainbow cambia continuamente direzione prima di giungere ad un esplosivo finale; Let It Be Known, che chiude l’album, salendo d’intensità, ci avvolge di ottimismo e buoni propositi.

Alla fine della fiera, con il sorriso sulle labbra, ci si ritrova a pensare che, se non altro, siamo (ancora) vivi e che, beata gioventù, c’è ancora tempo per sperare e pretendere un futuro migliore. Forse.

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Ivan Masciovecchio
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