Stearica invade Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O.

Da un lavoro congiunto di due band ci si potrebbe aspettare tutto fuorché quello che troviamo in questo album. Signore e signori, eccoci giunti all'inizio della fine

Stearica invade Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O.

(Cd, Homeopathic/Robot Elephant)

rock schizo paranoico

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Stearica invade Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O.Mi sento di invitare quanti si troveranno a leggere questa breve introduzione all’ascolto del suddetto lavoro congiunto delle due band in questione, l’italiana Stearica e la nipponica Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O., a realizzare un breve esperimento, consistente nel procurarsi un vecchio vinile rotto e nel farlo girare su di un giradischi per un tempo utile a portarsi oltre la soglia della tolleranza.

Poi, realizzato l’esperimento, si avrà premura di procurarsi un ascolto dell’ultimo lavoro delle due band delle quali in questa sede mi trovo a scrivere, e dunque allora si potrà procedere con un ascolto dello stesso, badando a scorgere eventuali differenze fra i due tipi di ascolto.

Se le differenze risultassero essere di natura eccessivamente esoterica (il che potrebbe essere ovvio per quanti ancora oggi sono in possesso di una qualche autentica affinità elettiva con la musica), cercherò io in questa sede di fare un pò chiarezza al fine di estinguere in parte quella confusione percettiva che rende spesso possibile un paradossale apprezzamento di lavori del genere.

Trattasi il brano d’ingresso di una vera e propria introduzione all’ascolto dell’album, con tanto di voce segnaletica delle caratteristiche (a detta degli autori del lavoro) salienti del tipo di musica verso la quale ci si andrà, letteralmente parlando, a schiantare poco dopo. Già, perché al fine di apprezzare il contenuto dei pezzi seguenti ci vorrebbe un certo quantitativo di sordità cronica, e questo a costo di non lasciarsi stuprare da una violenza così gratuita nonché totalmente inespressiva. Quasi tutte le tracce trovano il loro presupposto in una dimensione del fare musica che si fonda sulla ossessiva ripetitività (e da qui la profonda analogia con la suddetta immagine del disco rotto che ripete sempre lo stesso pezzo di musica all’infinito). Le differenze con l’ascolto di un disco rotto infatti vi sono, ma risultano essere così poco significanti che l’intero lavoro apparirà interessante a tutti coloro i quali, con la musica, abbiano un rapporto di tipo schizoide.

L’ossessiva ripetizione di poche cellule musicali (tanto che l’intero album potrà vantare qualcosa come 6-7 idee musicali ripetute coattamente) trova un suo senso specifico e significativo in contesti nei quali tale ripetizione è funzionale ad un’ evoluzione basata paradossalmente sull’apparente assenza di divenire musicale: nei minimalisti e nelle loro tecniche, a partire dal “Gradual Phase Shifting” e proseguendo con l’addizione progressiva di materiali musicali, trova piena dimora questa vena comnpositiva, in lavori come Music for 18 musicians e Octet di Steve ReichKoyaanisqatsi e Einstein on the beach di Philippe Glass.

Qui, purtroppo per noi, della ripetitività resta solo l’abbrutimento, l’annullamento di ogni possibilità, alla quale va ad aggiungersi una fortissima dose di violenza sonora, un mix che porta il tutto oltre i limiti della soglia di sopportazione.

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