Bright Eyes: The People’s Key

The People's Key segna il ritorno di Conor Oberst e dei suoi Bright Eyes. Il tentativo ultimo di una band alla ricerca di se stessa

Bright Eyes:

The People’s Key

(Cd, Saddle Creek)

indie-folk, low-fi, rock

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Bright Eyes- The People's KeyConor Oberst torna al suo primo amore, The People’s Key è il nuovo disco (e probabilmente ultimo) dei Bright Eyes. L’ultimo lavoro della band, Cassadaga, risaliva ormai a più di quattro anni fa.
La band quindi mancava da troppo tempo sulla scena, mentre Conor non è rimasto con le mani in mano dandosi da fare in vari progetti: Park Ave, Monsters of Folk con gli amici My Morning Jacket e soprattutto tanto materiale come solista (stampando ben tre lavori nel giro di tre anni dal 2007 al 2009).
Conor rimane quindi la figura centrale del collettivo americano e come tale influenza i lavori in maniera totalizzante: la crescita artistica, l’età anagrafica (arrivato al giro di boa dei trenta) e le importanti esperienze accumulate negli anni hanno fatto del frontman una personalità in grado di immergersi totalmente nelle sue produzioni. Una garanzia di qualità e di profondità.

The People’s Key rappresenta quindi il manifesto di un artista (e del suo progetto) maturo e consapevole, il gruppo si confronta  finalmente con il proprio passato artistico cercando di iniettare nuova linfa nell’indie folk dei periodi precedenti, un problema che non si erano mai posti prima d’ora: dare nuovo lustro e vitalità alle proprie chitarre acustiche.

Il gruppo è tornato ma ormai la natia Omaha sembra un posto lontano, da guardare con amore ma anche con distacco, la band di oggi sembra cercare il grande salto di qualità e i consensi del grande pubblico (anche se pare sia l’ultimo album). Improvvisamente le chitarre acustiche sono solamente il punto di partenza per smorzare le influenze della band: sorprende l’elettro pop di Jeune Stars, roba da Neutral Milk Hotel quando si lasciano andare in A Machine Spiritual, il sound si inasprisce quando imbracciano le chitarre elettriche su Haile Selassie.  Il songwriting è un porto di attracco sicuro per chi ama i lavori storici del gruppo, un punto di continuità con il passato. Riconoscibile da subito la penna ispirata di Conor, anche se può spiazzare ad un primo ascolto.

Il frontman trascina la band nella sua personalissima visione musicale  e nella sua evidente crescita umana, foriera di cambiamenti.  La nuova fase è iniziata: low-fi (Triple Spiral), indie pop (Approximate Sunlight) e piano songs (Shell Games) convivono in maniera sorprendente con l’indie-folk di scuola americana. Il tentativo di apertura, sintentizzato anche dai Decemberists nel recente The King is Dead presenta risultati contrastanti.
Dalle parole di Conor nella chiusura spettacolare di One For You One For Me:  “How did we get so, far away from us? How did we get so far away?”
I Bright Eyes si sono fatti una domanda, noi gli daremo una risposta.

Il tentativo ultimo di una band alla ricerca di se stessa: Omaha è lontana, ma non troppo.

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