Paul McCartney: la recensione di McCartney III

Ogni volta che Paul McCartney annuncia un nuovo album, le aspettative schizzano alle stelle. E McCartney III va oltre ogni più rosea aspettativa.

Paul McCartney

McCartney III

Capitol Records

hard rock, folk rock, rock blues, rock sperimentale, soul

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McCartney-III-Il 18 dicembre 2020, a quarant’anni di distanza dal secondo lavoro omonimo del baronetto di Liverpool e a cinquanta dal primo, esce McCartney III, il 18° album solista di Paul McCartney.

Registrato all’inizio di questo sventurato anno, mentre Paul si trovava in quarantena nella sua casa di campagna, questo disco è il frutto della creatività di un uomo di 78 anni ancora mosso dalla passione per quell’arte di cui è stato uno dei maggiori esponenti del ‘900, ovvero la musica rock.

Ogni volta che McCartney annuncia un nuovo album, le aspettative schizzano alle stelle. La precedente pubblicazione, Egypt Station, del 2018, aveva sorprendentemente raccolto il consenso della critica e dei fan, raggiungendo il primo posto nella classifica delle vendite. Sorprendentemente non perché fosse un brutto lavoro, tutt’altro, quanto piuttosto per la ricerca di modernità che pervadeva il disco, che, ad un primo ascolto, poteva risultare spiazzante.

Dunque, quale strada avrà intrapreso il buon Macca stavolta? Una moderna superstrada a quattro corsie o piuttosto un viottolo sterrato di campagna? Decisamente la seconda e, per chi scrive, è un vero sollievo.

Fin dalla prima nota della prima traccia (Long Tailed Winter Bird) tutti i timori e le ansie dovute alle aspettative, magicamente svaniscono. Sulla falsariga di McCartney e McCartney II, il polistrumentista Paul è praticamente l’unico artefice delle melodie qui registrate e viene da pensare che, effettivamente, non abbia bisogno di nessun altro.

Vorrei sottolineare con piacere che la timbrica dell’ex Beatle, che in Egypt Station sembrava portare, com’è naturale che sia, il peso dei suoi anni, appare in quest’opera quasi ringiovanita e più affine a quella del giovane Paul (fatta eccezione solo per Find My Way e Pretty Boys, le tracce che più si avvicinano a quelle contenute nel lavoro del 2018). Che il risultato sia dovuto all’uso sapiente delle strumentazioni moderne o alla scelta di tonalità più affini alla sua attuale estensione, poco importa.

I momenti più alti di McCartney III, dopo lo sfolgorante inizio, arrivano quando siamo a metà dell’ascolto, con la stravagante cavalcata sperimentale di oltre 8 minuti Deep Deep Feeling, seguita dalla super rock Slidin’ e con la traccia numero 8, la ballad The Kiss of Venus. Il cerchio si chiude con Winter Bird/When Winter Comes, che riprende l’incipit della opener track per poi sfumare in una dolce melodia con cui Paul, un po’ realisticamente e un po’ metaforicamente, ci racconta l’arrivo dell’inverno, in quelle campagne che lo hanno tanto ispirato.

Se le connaturali doti compositive di McCartney sono da decenni cosa più che nota, resta comunque da considerare che, nella spontaneità e nella sincerità di questi brani, vi è la chiave per un successo durevole nel tempo. Pochi fronzoli, poche sovrastrutture, solo tanta verità e un senso innato per la melodia.

Che ciò possa essere da monito alle nuove generazioni, in un anno in cui le migliori pubblicazioni sono arrivate da mostri sacri quali Bob Dylan, Ozzy Osbourne, Bruce Springsteen e, non ultimo, Sir Paul.

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Chiara Profili
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