Offlaga Disco Pax: Intervista e Live Report

Il palco diviene scena per i movimenti lenti, l’espressività solenne e la trance esecutiva degli ODP. Il simulacro di un universo parallelo fatto di scatole di wafer d’oltre cortina, gomme americane, copertine di riviste in bianco e nero, vecchi vinili e ciabatte dispari

Abbiamo scambiato due chiacchiere con gli amici degli Offlaga Disco Pax, in occasione del loro concerto numero 102, al Circolo degli Artisti di Roma.

Rock Shock. Per cominciare. Brevi note biografiche. Come nascono gli Offlaga Disco Pax e come si arriva alla stampa di Socialismo tascabile

Max. ODP nascono all’inizio del 2003 a Reggio Emilia, per l’intuizione di Enrico e Daniele che leggevano da qualche tempo alcuni miei racconti. Io non ho mai avuto nessun tipo esperienza musicale, loro hanno avuto l’idea di un gruppo che cantasse in italiano (nei loro gruppi loro cantano in inglese) ed abbiamo provato, quasi per scherzo per vedere di riuscire a fare un progetto un po’ diverso dal solito. Mi hanno chiesto se ero disposto, a 36 anni, a mettermi in gioco e usare i miei testi in una forma diversa da come erano nati. Siamo partiti in sordina, tra di noi, ci siamo iscritti ad un piccolo concorso locale e lì è nato il nostro percorso. All’inizio, francamente, nessuno avrebbe mai immaginato che ci saremmo trovati a suonare, due anni dopo, al Circolo degli Artisti.

RS. Alla domanda “che musica fate”. Come rispondete?

Enrico. Risponderei “quello che ci va di fare”. Nel senso che non riusciamo a descrivere perfettamente quello che facciamo. La musica, tende ad accompagnare i testi di Max, quindi teoricamente sarebbe musica d’atmosfera, ma non potremmo, comunque, definirla tale. Né colonna sonora, come magari avevamo immaginato all’inizio.

Max. Giocando con le parole qualcuno ha tirato fuori la definizione “elettro-narrativa elettorale”.

Daniele. Abbiamo pezzi talmente diversi fra di loro, per quanto legati, che è difficile autodefinirci o farci definire in un genere ben preciso.

RS. Nei vostri pezzi l’alchimia è data dall’incontro delle liriche di Max con un tappeto sonoro lo-fi di matrice anni ’80. Quanto i testi vengono incontro alla musica e viceversa?

Enrico. Generalmente non abbiamo un metodo preciso di lavoro. O viene scritto un pezzo a casa e lo si porta in studio avendo un’idea del testo a cui associarlo, altrimenti, nella maggior parte dei casi, le cose sono nate avendo il testo ed improvvisando musicalmente. Sicuramente Max ha dovuto accorciare un sacco i suoi racconti originali.

Max. Io non credo che il gruppo abbia problemi di adattamento gli uni agli altri. E’ un processo naturale in sala prove, in cui sostanzialmente siamo noi ad adattarci al brano. Loro al testo ed io alla musica, nel momento in cui è necessario. Il lavoro tra musica e testi è sempre stato fatto insieme senza problemi, spontaneamente. Alle volte è quasi buona “la prima”, alte volte ci lavoriamo di più. Tra l’altro io accorcio il testo anche sulla base di quello che sento musicalmente. Ascoltando la musica, infatti, decido di tagliare un pezzo piuttosto che un altro. Lavoro anche sulle parole, ma molto poco.

RS. Parafrasandovi. Qual è l’anima dei vostri anno ’80?

Enrico. In realtà, nel nostro vissuto gli anni ’80 contano sicuramente in maniera diversa. Siamo due generazioni differenti. Noi vorremmo arrivare più aldilà nel tempo anche oltre i ’60 e i ’70. Anni ’80 per me è l’infanzia. Non certo Jarmila Kratochvilova, non seguivo l’atletica allora, ma magari è l’astronave da 300 punti di space invaders. Ricordo che Max, una volta alle prove ci chiese se ci andava di aggiungere qualcosa all’elenco di Robespierre, ma abbiamo risposto di no. Sicuramente avremmo aggiunto delle cose che abbiamo vissuto in maniera diversa. Ad esempio avrei citato Spazio 1999, che io guardavo a cinque anni e Max a quindici.

Max. Per me gli anni ’80 sono gli anni della mia adolescenza, anni di formazione. Loro invece, da appassionati di musica, li hanno scoperti dopo ed in un altro modo.

Enrico. Secondo me se proprio volessimo focalizzare un nostro “centro”, sarebbe tra la fine dei settanta e l’inizio degli ottanta. Di certo non rappresentiamo tutto il decennio ottanta.

Max. Credo che i riferimenti musicali siamo a cavallo dei due decenni. I miei testi, poi, parlano anche dell’oggi. Avrai fatto caso, forse, che nei brani col testo più contemporaneo, tende a sfumarsi la politica, mentre dove il testo è più vecchio è più presente. Credo sia il naturale processo degli eventi e della storia umana.

RS. Come si riesce a conciliare il legame con le radici con la naturale tensione alla crescita ed all’evoluzione. Insomma, cosa ci aspetta per il futuro?

Max. Per adesso, prendendoci i giusti tempi, ci aspettiamo di fare un altro

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Emmanuele Margiotta
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