Leitmotiv: L’Audace Bianco Sporca Il Resto

L’Audace Bianco Sporca Il Resto spariglia le carte dell’italica discografia. Suona tutto e il contrario di tutto. Ammicca, consola, conquista. Nasce tondo e muore quadrato e, tra un brano e l’altro, pulsa di vita

Leitmotiv

L’Audace Bianco Sporca Il Resto

(Cd, La Fabbrica/iMiuzik)

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leitmotiv08In avvio, una intro onirica e parlata ci immette sul sentiero sconnesso di questo audace e sporco disco d’esordio. Proseguendo, il percorso vira decisamente verso un sano e classico rock, prima declamato in salsa francese, poi supportato da italico idioma. Una improvvisa ventata di post rock ci sorprende indifesi lungo il cammino, depistandoci verso un vicino mercato dal sapor mediorientale. Ritrovare la strada di casa è impresa ardua ma non impossibile, che passa prima attraverso una elettrica e rockettara danza made in Puglia e successivamente lasciandosi conquistare da una ballata western all’ombra del Vesuvio. A questo punto, se non avete già perso l’orientamento, sappiate che siete solo a metà del percorso e che le trappole e i detours non sono ancora finiti.

A dispetto del proprio nome, quel che caratterizza l’interessantissimo primo lavoro dei Leitmotiv è proprio la mancanza di una matassa sonora, un organico filo conduttore musicale in grado di restituire un ascolto omogeneo e lineare. Purtroppo o per fortuna, è questione di punti di vista.

Anche se non tutte le sedici tracce, alcune delle quali poco più che brevi accenni, restano impresse nel cuore di chi le ascolta, per noi tutto ciò è un bene, una schizofrenica sferzata di vitalità che fa davvero ben sperare per il futuro.

Affidati alla produzione artistica di Amerigo Verardi (già al lavoro con Baustelle e Virginiana Miller), con il contributo al suono di Maurice Andiloro (tra gli altri, Afterhours, Vinicio Capossela, Perturbazione), i cinque ragazzi tarantini (due chitarre, basso, batteria e voce) realizzano un album caleidoscopico e di ampio respiro, che non si accontenta di guardarsi l’ombelico del proprio mondo ma che punta dritto verso l’Europa. Un lavoro che travalica generi e confini, indefinito e indefinibile, che non ha (avuto) paura di prendersi i propri rischi e che ora, a giudicare almeno da questa prima mano, si aggiudica il piatto e la possibilità di far saltare finalmente il banco.

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Ivan Masciovecchio
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