Artas: The Healing

Debutto sulla lunga distanza per la band austriaca che con The Healing calcano la mano su un thrash metal di stampo moderno roccioso ma poco incisivo

Artas

The Healing

(Cd, Napalm Records, 2008)

metal

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artas_thehealingIn un 2008 che sarà ricordato in ambito metal come l’anno dei “revival”, col ritorno in campo di tantissime bands storiche, sono quasi passati inosservati i lavori delle nuove leve.

A torto o a ragione l’attenzione è stata calamitata tutta su questi rientri importanti, malgrado tutto i debutti ci sono stati ed anche parecchi.

Fanno parte di quest’ultima categoria gli Artas, band viennese dedita ad un thrash metal di chiara derivazione moderna con influenze Machine Head (soprattutto) e Sepultura (in parte e solo per alcune soluzioni).

Quello che vien fuori da questo mix e The Healing, album che non mi ha particolarmente impressionato e che, se non fosse per alcuni pezzi comunque interessanti, sarebbe caduto immediatamente nel dimenticatoio.

I problemi che affliggono i 51 minuti di durata del lavoro in questione sono senza ombra di dubbio l’assenza di soluzioni di particolare originalità ed un cantato che in alcuni frangenti (specie nelle voci più pulite) soffre in maniera troppo evidente.

Ad ascoltare la coppia di brani iniziali, Barbossa e Bastardo verrebbe già voglia di togliere il disco dal lettore, troppo monotona e banale la prima, forzata e di cattivo gusto la seconda in cui a fronte di un riffing monocorde fa riscontro un tentativo quasi estremo di infilarvi in mezzo un ritornello che risulta assolutamente fuori fase rispetto al resto del pezzo ed in cui sono anche le vocals a non convincere.

A salvare il salvabile intervengono però alcuni brani piuttosto interessanti, e sono quelli meno legati al genere di per sè, come l’oscura Through The Dark Gates con un’intro addirittura “grungettona” (tanto nel riffing quanto nel cantato melodico ma allo stesso tempo ruvido) ed una progressione che finalmente valorizza le chitarre, o ancora A Song Of Ice And Fire anche in questo caso piuttosto diversa dal contesto generale.

Per concludere una citazione anche per la cover di un brano storico del rapper Coolio, quella Gangsta’s Paradise che tutti conoscerete e che in questa veste viene riproposta in maniera più che accettabile.

Non bastano tuttavia questi spunti per salvare un album comunque mediocre.

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