Afterhours: Live Report (Roma, 21 dicembre 2006)

Siamo di fronte ad un dato di fatto. Gli Afterhours sono ad oggi la migliore rock band italiana. Lo sono per la qualità del loro lavoro in studio e per l'incredibile forza con la quale riescono a coinvolgere il pubblico dal vivo. Il concerto del 6 dicembre al Tendastrisce di Roma ne è un'ulteriore conferma

Afterhours

Roma, Tendastrisce, 6 Dicembre 2006

Live Report

8/10

Immancabile data romana per gli Afterhours. Tra le ultime prima di una lunga pausa che li vedrà impegnati nella realizzazione del nuovo album. Al Tendastrisce di Roma, migliaia di fan urlanti accolgono prima Giovanni Ferrario, chitarra e voce dei Micevice, interprete dalla timbrica americana e dall’attitudine intimista. Voce, chitarra, pedale, campionamenti e distorsioni, che disegnano uno scenario da pianure sconfinate, quasi a ribadire il nuovo ed ampio respiro della band che si esibirà da li a poco.

Dopo un interminabile cambio palco, gli Afterhours (con l’ormai stabile formazione a sei) danno inizio alle danze all’insegna di Hai paura del buio. Elymania e Lasciami leccare l’adrenalina. Episodi brevissimi ed acidi. Prime testimonianze di un live dai ritmi elevatissimi, dall’intensità distorta e dalle scelte di scaletta atipiche (dieci e lode anche solo per aver lasciato a casa, una volta tanto, pezzi come 1996 o Male di miele).

L’aggressività della band si esalta sulle note ed i germi di Ossigeno. Suonano praticamente in apnea. Un’inaspettata L’inutilità della puntualità e poi un duo da Ballate per piccole iene: (E’la fine la più importante, Vedova bianca). In italiano quindi. Meglio così. il pubblico ringrazia ed applaude a pezzi che sono come schegge ansiogene e cariche di volume.

Agnelli è ispirato, si vede e si sente. Il rapporto con Roma in effetti è sempre stato piuttosto buono. L’interpretazione è intensa ed all’altezza della situazione. Emerge come una perla una Bunjee Jumping meravigliosamente potente, in cui pur cambiando l’ordine del testo, il prodotto non cambia. Non si esce vivi dagli anni 80 è un vertice di delirio rock che solleva da terra con una base ritmica imponente. Primo respiro. Quello che non c’è. Che cresce fino a spegnersi istericamente nella sua coda visionaria.

La gente sta male. Amara introspezione di fuga dalla normalità. Poi Sangue di Giuda, un’esplosione, nell’urlo di Agnelli e nelle note acide di violino. E’ estasi collettiva. Dentro Marylin non appartiene più agli Afterhours, tale è il livello di empatia col pubblico. Il mio ruolo chiude il cerchio e lentamente si ritorna a respirare. La band esce di scena.

Tre bis continuano ad alimentare passioni ed entusiasmi, tra pezzi amati (Strategie, Voglio una pelle splendida, Oceano di gomma), ritmi ipnotici (Milano circonvallazione esterna) e riflessioni intime e sognanti (Ci sono molti modi). I sei esausti hanno ancora forza per un paio di eccellenti cover beat, Live And Let Die (Wings), The Long And Winding Road (Beatles). Davvero, davvero, davvero difficile chiedere di più.

Siparietto calciofilo finale con outing di Agnelli che ammette di tifare per l’Inter. Ora si capisce il perché di tanta malinconica introspezione e di tanta rabbia in corpo.

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