Vinicio Capossela: Da Solo

A due anni dal carnale e tribale Ovunque Proteggi il caleidoscopico autore, dismessa la pelliccia e i campanacci da mamuthones, torna con un disco di rara intensità e delicatezza.

Vinicio Capossela

Da Solo

(Cd, Warner/Atlantic, 2008)

canzone d’autore

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Eccolo qua il Vinicio che non ti aspetti (ma che, almeno noi, amiamo di più), quello capace di commuovere con la sola forza del suono del suo pianoforte, con la profondità della sua scrittura e con i dolenti sussurri della sua voce. Quello capace di mettersi a nudo, senza ricorrere ad inutili orpelli e a più o meno variopinti travestimenti.

Dopo aver infiammato, e conquistato, i palcoscenici di mezzo mondo, facendo più volte avanti e ‘ndrè tra l’Europa e l’America, eccolo ora virare all’incontrèèèè verso le intime e raccolte sonorità dei precedenti lavori e dare alle stampe Da Solo, il suo settimo album da studio.

Un cambio di passo piacevole ed imprevisto (in diverse occasioni, infatti, lo stesso Capossela aveva dichiarato che dopo “Ovunque Proteggi” avrebbe pubblicato un album di musica popolare), in cui palpabili sono i rimandi alle atmosfere crepuscolari di “All’Una E Trentacinque Circa” o alla circense polvere di stelle che ammantava le “Canzoni A Manovella”, a cui più di un brano si dimostra debitore.

Accantonato (momentaneamente?) il funambolico Zelig che lo ha animato negli ultimi tempi, l’autore apolide per eccellenza (nato in Germania da genitori campani, gioventù in Emilia Romagna, attualmente quietatosi a Milano), ci regala un disco per le feste, un caldo appiglio al quale aggrapparsi per affrontare i rigori dell’inverno e la gelida freddezza della solitudine.

Certo, i dodici brani che lo compongono, come dodici piccole fiammelle, non scaldano tutti allo stesso modo. Anzi, soprattutto le prime tracce, lasciano piuttosto distaccati. Il Gigante E Il Mago, già ascoltata durante i live, risulta eccessivamente lunga, incapace di trasmettere quella dimensione fantastica e spettacolare alla quale aspira, e quando, ta-dà, la baraonda finalmente arriva, l’incantesimo è ormai svanito; il singolo In Clandestinità oscilla cantilenante senza particolari sussulti fino ad un ritornello che rischia di rimanere senza fiato; Parla Piano tradisce un avvio promettente con un refrain dalla melodia banale e inconsistente; Una Giornata Perfetta è un simpatico divertissement da saloon western e niente più.

E’ dalla fantastica e metaforica Il Paradiso Dei Calzini, musicata con strumenti giocattolo da Pascal Comelade (sul disco, oltre alla consueta e collaudata accolita di amici/musicisti, Capossela è malaccompagnato dai Calexico e Mario Brunello), che il disco prende quota fino al finale pacificante ed etereo di Non C’è Disaccordo Nel Cielo, unico brano non originale, già ascoltato nel repertorio dei “Canti di Natale” insieme alla splendida Sante Nicola, un valzer leggero leggero da ballare in strada in attesa che la pioggia si trasformi in neve. Nel mezzo, tra gli altri, Vetri Appannati D’America e La Faccia Della Terra, due desola(n)ti ritratti di una nazione ormai esausta e condannata al silenzio dell’isolamento, e Lettere Di Soldati, un piccolo capolavoro di grazia sulle atrocità della guerra viste dalla parte di chi ci lascia la pelle, senza retorica e giri di parole perché “…uccidere non è peccato se non sei ucciso tu…”, con un battito di cuore pulsante a far da contorno a musica e parole. Da brividi.

Danzereccio o contemplativo che sia, Vinicio Capossela si dimostra ancora una volta un passo avanti a tutti, un artista che dopo quasi vent’anni di (stra)ordinaria carriera, nonostante qualche inevitabile passaggio a vuoto, dimostra di avere ancora qualcosa di interessante da dire. Sicuramente Da Solo non può dirsi un lavoro pienamente compiuto, come ad esempio l’insuperabile “Canzoni A Manovella”, il disco al quale risulta più debitore, ma è comunque capace di aggrapparsi all’anima e non andarsene più. E’ un disco che va riascoltato a distanza di tempo, un po’ come tutti quelli di Capossela; un disco che cambia sapore in continuazione, che ha bisogno di affinarsi come un vino messo ad invecchiare in una botte di rovere francese. E’ un disco dedicato a chi “…si è lasciato cadere sul fondo, chi non ha mai trovato il ritorno, chi ha inseguito testardo un rattoppo, chi si è fatto trovare sul fatto…”. Un disco protettivo, da applicare sul cuore, sotto il maglione. E difendersi così, dal freddo che fa(rà).

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Ivan Masciovecchio
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