Red Velvet Line: intervista (e breve live report)

Incontriamo i Red Velvet Line: una delle band emergenti che stanno avendo più successo in tutto il web

Red Velvet Line

live report (Roma, Locanda Blies, 2 marzo 2011)

intervista

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Foto di Giovanni Colaneri

Non sono passati neanche due mesi dalla pubblicazione della recensione dell’album di debutto dei Red Velvet Line, The Stars Are Falling, che li incontriamo alla Locanda Blues di Roma per una serata all’insegna della loro ennesima performance live. E non dobbiamo aspettare molto. Sono le 22:30 infatti quando scendono dal palco i Dogs In the Garage e salgono i cinque ragazzi romani che si stanno dando non poco da fare per la promozione del loro album.

 

Fin dall’inizio si capisce subito che tutta la passione messa nel lavoro in studio era solo la metà di quella che riescono ad esprimere dal vivo. Infatti è con una grande carica che ci vengono presentati tutti i loro pezzi. Pezzi che scorrono via anche troppo in fretta. Si va da Distances, Cursed, Everytime, Hide And Seek fino ai brani più lenti (o “pomicioni” come la cantante, Suelì, li definisce) come The Light I’ve Seen In Your Eyes ed Angel passando per The Stars Are Falling ed Untill The End. Il tutto intramezzato dalla cover di Celebration e da quella di Tik Tok di Kesha che, per chi ama il rock quello duro, non sarà il massimo ma che riescono a trasformare in qualcosa di divertente e maggiormente apprezzabile.

Il pubblico viene coinvolto continuamente e partecipa con piacere fino alla fine di questa performance che viene chiusa con il loro singolo di lancio Tonight (che sta dando loro moltissime soddisfazioni nel web) e con la cover di Maniac presente anche in The Stars Are Falling. Un finale talmente potente ed appassionato che la membrana del rullante arriva a cedere sotto le energiche battute del batterista.

Ci sanno fare i nostri Red Velvet Line e lo dimostra il fatto che, nonostante l’acustica non buonissima tenti di nasconderla, l’abilità dei chitarristi Carlo e Riccardo non riesce a passare inosservata così come anche l’intensità del basso e la voce cristallina di Suelì.

Quindi possiamo affermare che dal vivo le alte aspettative che si erano create riguardo a questa band non vengono assolutamente disattese.

Ed è a questo punto, quando scendono dal palco, che rubiamo un po’ di tempo ai RVL per porgli una manciata di domande a proposito del loro passato, presente e futuro scoprendo che sono anche dei ragazzi simpatici, alla mano e con parecchie cose da dire.


Foto di Giovanni Colaneri

RockShock: Ciao Ragazzi, grazie per aver accettato la nostra intervista! Innanzitutto raccontateci quando e come nascono i Red Velvet Line.

Carlo. Ciao Ileana! Grazie a te per l’opportunità che ci offri, è un vero piacere parlare con voi di RockShock, siete stati i primi a recensire il nostro disco e ci è piaciuto moltissimo quello che hai scritto su di noi, sai non è facile per una band autoprodotta e autofinanziata riuscire a farsi ascoltare, ed è una vera soddisfazione sentire che la propria musica viene capita in pieno e apprezzata. Come sai (purtroppo) la visibilità degli artisti emergenti è dettata da severe regole di mercato, soprattutto se si parla di mainstream, non a caso noi preferiamo muoverci nell’underground, è tutto più vero, più onesto e pulito (salvo eccezioni), ed è alla nostra portata grazie anche ai social network. Insomma, un conto è farcela con le proprie forze, farsi accettare e soprattutto farsi apprezzare da persone che hai raggiunto direttamente, che hai conquistato con l’impegno concerto dopo concerto, un conto è farcela perché dietro c’è un management che investe milioni di euro in promozione su tutti i media… ok saremmo ipocriti se dicessimo che non farebbe comodo anche a noi, ma il fatto è che se oggi la musica sembra tutta uguale e priva di personalità è proprio per colpa di alcune imposizioni mediatiche che spingono gli artisti emergenti a seguire schemi prefissati piuttosto che dedicarsi a proporre la musica che vogliono davvero suonare.

Sue: Ok, stiamo divagando ci hai chiesto come e quando è nata la nostra band. Per quanto riguarda il “quando” ti possiamo dire che ci siamo incontrati nel momento giusto, ovvero due anni fa, venivamo quasi tutti da esperienze musicali precedenti che in qualche modo si sono interrotte in modo più o meno spiacevole. Io e Gianni proveniamo dai Glassmode, una band gothic metal che risale più o meno al 2004, periodo d’oro per il genere gothic, Carlo invece proviene da parecchie esperienze musicali differenti, metal, crossover, indie, ma anche pop e rock, in un paio di questi progetti era coinvolto anche Simone che tra il 2007 e il 2008 era diventato anche bassista dei Glassmode. Dopo lo scioglimento dei Glassmode fu proprio Simone a pensare che poteva nascere qualcosa di interessante se si fossero unite le forze, a loro mancava un chitarrista e un compositore, mentre a Carlo mancava una band esperta e soprattutto affine ai suoi gusti musicali. Riccardo era l’anello mancante, tecnicamente preparatissimo, anche lui aveva avuto alcuni precedenti musicali con Simone,  e dopo il primo incontro sembrava chiaro che esistevano tutte le premesse per fare buona musica. E così è stato.

RockShock: The Stars Are Falling è il vostro album di debutto: cosa vi ha maggiormente influenzato nella creazione di musica e testi?

Carlo: La nostra musica nasce in modo spontaneo, ma segue due fasi creative ben distinte. Nella prima fase io compongo il brano e lo arrangio, lo registro a casa mia e lo passo a Sue che si occupa di creare la linea vocale e il testo, poi si va in sala, si prova e si rifinisce il pezzo. Bisogna ringraziare il progresso tecnologico se questa band esiste, perché il tempo libero che abbiamo a disposizione è dettato dai nostri regimi lavorativi (purtroppo non viviamo di musica, siamo tutti lavoratori full-time), se non esistessero i software di registrazione casalinga i nostri tempi sarebbero stati molto più lunghi.

RockShock: Il vostro lavoro è cantato completamente in inglese, c’è una ragione per cui avete fatto questa scelta?

Sue: Per due ottime ragioni, la prima è che io preferisco cantare in inglese, e la seconda è che tutti noi concordiamo sul fatto che la lingua inglese è in qualche modo più adatta per il nostro stile musicale, la metrica inglese è più marcata, più comoda, si adatta meglio ad un certo tipo di rock pesante, funziona perfettamente per comunicare l’energia che vogliamo trasmettere nella nostra musica.

Carlo: Non escludiamo però la possibilità di avere qualche brano in lingua italiana in futuro, o chissà, magari anche in portoghese, viste le origini di Sue.

:Sue Chissà, tutto può essere, in fondo avevo già provato a scrivere qualcosa in italiano, il brano “Distances” in origine era in lingua italiana, poi per coerenza con il resto del disco ho riscritto il testo in inglese.

RockShock: Quindi, se vi venisse proposto per motivi commerciali, accettereste di cantare in italiano, come già altri artisti hanno fatto?

Sue: Come diceva prima Carlo non escludiamo nessuna possibilità, l’importante è che le nostre scelte siano sempre coerenti con il nostro pensiero, ovvero di non fare nulla che non ci sentiamo di fare, se ci proponessero di fare qualcosa per ragioni commerciali valuteremmo in base alla proposta sia i pro che i contro, ma è chiaro che se ad esempio ci proponessero di fare un duetto con Apicella rifiuteremmo a prescindere.

RockShock: Cosa rispondete a chi vi paragona a band del panorama punk-emo d’oltreoceano?

Sue: beh troppo facile come paragone, ma se si ascolta bene il nostro disco ci si accorge che nei nostri brani di punk-emo c’è ben poco.

Carlo: Domanda interessante, non è facile rispondere senza essere polemici verso le nuove generazioni di musicisti, che poi in fondo non hanno nessuna colpa di suonare certi generi musicali, ogni musicista è figlio del suo tempo e suona la musica della propria epoca. Il paragone tra musica e linguaggio è quasi spontaneo, quando un bambino impara a parlare usa le espressioni correnti che ogni giorno ascolta dai suoi genitori, dai suoi amici, a scuola, nessuno si sognerebbe di parlare in latino per ordinare al ristorante, per la musica è la stessa cosa, quando ci si avvicina ad uno strumento si inizia subito a strimpellare gli accordi degli ultimi successi discografici, e in qualche modo si finisce per essere influenzati nel proprio songwriting da quello che si ascolta quotidianamente. E’facile notare come alcune scelte compositive vincenti diventano subito “trend”, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 facevano tutti il verso alle bands nu-metal come i Korn o i Deftones, oggi invece le bands estreme hanno quasi tutte la stressa formazione: voce scream e voce melodica, mentre le bands più rock e pop farciscono i loro arrangiamenti con tonnellate di synth con suoni che andavano di moda nella dance degli anni ’90, ma sta già cambiando qualcosa, alcuni si stanno buttando di nuovo sull’indie, altri invece ci vanno più pesanti con l’elettronica, ma sempre tutti all’unisono, nessuno si sogna di proporre qualcosa che sia fuori dal coro. E’così che nascono gli stereotipi, e molti ne diventano schiavi. Ma se ascoltate i nostri brani sentirete che le nostre radici sono molto più profonde, siamo tutti nati tra il 1976 e il 1981, la nostra formazione musicale nasce dai fenomenali anni 80 (e si è consolidata con il rock e il metal degli anni ’90), le nostre influenze musicali provengono soprattutto dalla musica che ascoltavamo anni fa, nonostante il nostro sound sia attuale non è poi così difficile riconoscere alcune influenze classiche.

RockShock: Abbiamo notato che siete la band n°1 nella classifica ReverbNation e che siete tra i gruppi più cliccati del web (come numero di visite su MySpace, YouTube…). Vi aspettavate questo successo a così poco tempo dalla release dell’album?

Sue: No, anzi! Pensavamo che il nostro stile sarebbe passato piuttosto inosservato, e invece stiamo avendo parecchie soddisfazioni, soprattutto da ReverbNation (che consideriamo un ottimo punto di riferimento per la musica emergente) ma anche da YouTube, il nostro video piace, al momento riceve circa un migliaio di visualizzazioni al giorno, “Tonight” è cliccatissima e condivisa ovunque e questo ci piace tantissimo. Considerando anche che non abbiamo molto tempo da dedicare alla promozione del nostro materiale, tutti i complimenti che ci fanno ci danno davvero grandi emozioni.

RockShock: Con uno sguardo al futuro, pensate, a questo punto, di incanalare le vostre forze per la promozione del disco (pubblicità in internet, riviste ed affini) oppure punterete di più a farvi conoscere come live-band?

Carlo: Anche in questo caso non escludiamo nessuna possibilità, non trascureremo nulla, anche perché ci piace molto suonare dal vivo e i nostri brani sono nati per essere suonati sul palco, d’altra parte non smetteremo mai di usare i social network, è il modo più rapido ed efficace per farci conoscere il più possibile in giro per il mondo. Può sembrare un concetto retorico, ma internet gioca un ruolo fondamentale per tutti quelli che come noi vogliono farsi ascoltare ovunque, dieci anni fa tutto questo sarebbe stato solo fantascienza.

RockShock: Avete già altri progetti in cantiere? Qualche idea per nuovi pezzi?

Sue: Assolutamente si, esiste già del nuovo materiale su cui stiamo lavorando. Anche se al momento ci stiamo concentrando prevalentemente sulla promozione del nostro disco “The Stars Are Falling” che attualmente è disponibile oltre che su tutti i maggiori “stores”virtuali (iTunes e Amazon ad esempio) anche in formato cd fisico ad un prezzo davvero popolare, lo vendiamo sia online che ai nostri concerti.

RockShock: Grazie mille ragazzi…e per concludere: lasciate un saluto per i lettori di RockShock!

RVL: Un saluto a tutti!!!! Venite a trovarci spesso su Facebook, su Myspace, o su ReverbNation, e se non ci avete mai visto dal vivo, venite ai nostri concerti, vi assicuriamo che non ve ne pentirete!

 

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