Wallis Bird: Home

Home è il quinto album di Wallis Bird, un infuso di synt-folk con qualche venatura gospel e pochissime concessioni al pop. Un lavoro di qualità che ripropone in auge la giovane irlandese a due anni dall’ultimo Architect

Wallis Bird

Home

(Mount Silver Records)

synth-folk

[starreview]

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Wallis Bird è giunta al suo quinto album, Home, che arriva a due anni di distanza dall’ultimo Architect (2014) e dopo un centinaio di concerti.

Ammetto la mia ignoranza, perché necessariamente di ignoranza si deve parlare quando si ignora, appunto, l’esistenza di un’artista come Wallis Bird. E, come se ciò non bastasse, appena ho premuto il tasto “play” ho maledetto il caporedattore di Rockshock per avermi mandato da recensire un altro noiosissimo album infarcito di elettronica, suoni eterei e imprecazioni contro i social network e quant’altro. Quindi all’ignoranza si è sommato l’errore di valutazione dovuto alla presunzione di saper giudicare dai primi 20 secondi.

In realtà Wallis Bird è una ragazza irlandese che, musicalmente, ha molto da dire.

La traccia d’apertura, Change, crea atmosfera usando semplicemente una ritmica ovattata, un pianoforte e la sua intrigante voce rauca.

I giri aumentano con ODOM e Control, che si apre con la melodia ricamata su una linea di basso eclettica che va a sfociare in un chorus non convenzionale, che poi è un po’ il suo marchio di fabbrica.

Pass The Darkness torna alle atmosfere delicate che sembrano fuoriuscire da una di quelle compilation celtiche che si trovano in tutte le fiere e fa quasi da overture a That Leads The Way, il brano più orecchiabile e radiofonico ascoltato sin qui. Ma non aspettatevi roba da Radio Subasio perché, anche nei voli a quote più basse, WB ha l’altimetro tarato come il cruise control.

La title-track, Home, mi porta in una dimensione estremamente intima. E’ un brano a cappella, che di primo acchito mi fa balenare in mente Behind The Wall di Tracy Chapman. Ma, a ben ascoltare, quello era un urlo mentre questo è un sussurro o, tutt’al più, un grido sussurrato. Sentire Wallis Bird delineare la melodia con la sua voce a tratti fragile a tratti robusta, deglutire, tentennare, fa quasi sembrare di essere il suo migliore amico appena svegliato nel cuore della notte per un parere su una nuova composizione.

Dopo il passaggio veloce di Love, che paga anche lo scotto della sua posizione nella tracklist, si approda nel quasi gospel di The Deep Reveal che impressiona per un’ugola lacerata e flautata un po’ Marylin un po’ Art Garfunkel, davvero difficile da spiegare, vicina ai confini dell’ipnosi.

Chiudono il groove irresistibile di Fantasy, la delicata I Want It I Need It e la mia quasi preferita Seasons (ribadisco l’irraggiungibilità di Home), che forse è la meno originale di tutte ma è sicuramente una di quelle più suggestive.

L’album sarà disponibile dal 30 settembre, anche in vinile da 180 grammi.

E, per gli amanti del genere, è certamente un appuntamento da non mancare.

 

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