Ani DiFranco: Allergic to water

L’anarchica pellaccia di Ani DiFranco con Allergic to water si ammorbidisce leggermente, ora è mamma di un figlio, ma sotto la cenere cova sempre una guerra poetica senza fondo

Ani DiFranco

Allergic to water

(Righteous Babe Records)

indie folk

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ANI DIFRANCODa poco mamma, l’eterna ribelle di Buffalo, Ani DiFranco torna a far sentire la sua stupenda smania di essere contro, magari lo fa con un po di tacche in meno, un “anti” pensiero che in questo suo Allergic To Water è molto più ammorbidito dei precedenti lavori, ma questo non significa arrendevolezza solamente che l’artista americana si concede una riflessione interiore, See see see see, uno scandaglio nella sua interiorità soul, Tr’w, e un interesse per una bellezza quasi primitiva della vita, Genie, cose e terreni di gioco in cui DiFranco riversa poesia e viaggi mentali molto lontani dai frenetismi in cui l’abbiamo conosciuta, ora per lei la cosa preponderante è arrivare dentro gli ascolti in maniera confidenziale e col cuore in mano.

Da sempre eroina femminista e portavoce delle battaglie contro il music business, la folk singer immagina un mondo a portata di donna semplice, di madre affascinatrice di consigli e forze quasi familiari, una tracklist ispirata e viaggiante – a tratti minimalista, Careless words, a tratti disillusa Woe be gone – che vive in un modo nuovo di vedere le cose, quasi un tirare una riga su esperienze e rimasugli di esistenza dopo appunto questa su maternità che – se non altro – l’ha portata non a revisionare idee piuttosto rincorrerle di nuovo ma con efficacia differente, con una marcia convulsa in meno ma con più sentimentalismo.

Il pianoforte e gli arpeggi magnificenti che abbelliscono la titletrack – ametista a se stante – e la ninnananna coi campanellini Rainy parade sono i parametri artistici di una “rivoluzionaria” che ha cambiato il modo di fare cantautorato ma non il proprio animo indomito, ora è pura madre, ma comunque sempre dietro a barricate a vendere cara la propria carica detonante, la propria pellaccia anarchica. Stupendo!

 

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Max Sannella
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