Egomass: Estreme Conseguenze

Primo album per questa band sarda, dedicato a chi ama ritmi concitati e folli. Per un ingresso sulle scene davvero esplosivo.

Egomass

Estreme Conseguenze

(CD, Autoproduzione)

thrash

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egomassLuca Pintore (voce), Antonio Mulas (basso), Paolo Lubinu (chitarra) e Flavio Fancellu (batteria). Sono gli Egomass che dalle vicine terre sarde ci travolgono con il loro…thrash? Progressive? Hardcore? Difficile riuscire a definire appieno il loro genere musicale poiché le battute sono talmente concitate da lasciare poco spazio alla determinazione.

Sono all’esordio, i quattro, ma non all’inizio. Infatti il gruppo si forma ufficialmente nel 2004 ma è al lavoro già da prima. Performance live e partecipazioni a vari concorsi fanno sì che, dal 2005 in poi, il gruppo riesca a crescere e a farsi una discreta schiera di pubblico nella loro terra d’origine. Una buona gavetta, insomma. Ora è giunto il momento di allargare gli orizzonti e di farsi conoscere ad un pubblico più vasto.

Ed ecco che arriva Estreme Conseguenze.

Otto tracce, quarantadue minuti. Non c’è respiro, non c’è riposo e non c’è pace durante l’ascolto dell’intero album. La struttura musicale nella quale si inerpica questo full-lenght è ben costruita con parti di chitarra veramente lodevoli ed una batteria martellante  ed attenta a mantenere rapita l’attenzione di chi ascolta. Ma non dal primo ascolto. Infatti, inizialmente e ad orecchie poco esperte, potrebbe essenzialmente sembrare un album progressive come tanti ce ne sono in giro. Un pandemonio di suoni indistinguibili. Forti e sprezzanti. E’ al secondo tentativo che, invece, si riescono ad apprezzare le mille sfumature che danno particolarità a questo lavoro.

L’album si apre con Coscienza, un brano che, in qualche modo, devia da quello che sarà il reale spirito di questo lavoro. Le sonorità, infatti, non sono quello che ci si aspetta da una band che si definisce tech-thrash. E’ un mondo a sé. Un mondo furente che evolve, a tratti, in una malinconia che riesce a creare una dicotomia affascinante. Malinconia completamente abbandonata nelle tracce successive che si snodano su una foga ingravescente fino ad arrivare all’apice con Io Spero districata su un gioco di chitarra e basso nei momenti in cui la batteria si fa quasi delicata. Una piacevole tortura per i timpani.

Gran merito per questi quattro ragazzi che dimostrano una buona esperienza e conoscenza delle proprie azioni. Basti pensare al fatto che stiamo parlando di un album autoprodotto, e non è facile trovare suoni e mixaggi tanto puliti e ben riusciti. Bravura? Buona volontà? Probabilmente entrambe. Sicuramente entrambe. Qualità che permetteranno loro di crescere e perfezionarsi.

In conclusione un album per i cultori del genere. Album per chi ha gusti raffinati e per coloro che vogliono ritrovare parte dell’eredità che hanno lasciato gruppi come Pantera e Pestilence. E per chi, invece, si avvicina per la prima volta a questo genere? Beh, diciamo che non se ne innamorerà grazie a questo album, forse troppo complesso e furente per orecchie vergini.

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