Colossal Street Jam: recensione EP omonimo

È stato il nuovo EP dei Colossal Street Jam, durante un concerto ad Asbury Park insieme a Robby Krieger, il leggendario chitarrista dei Doors

Colossal Street Jam

EP

(Reverbnation)

hard-rock

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Colossal Street Jam-È uscito il nuovo EP dei Colossal Street Jam. E quale miglior modo per presentarlo se non durante l’esibizione come opener di Robby Krieger, il chitarrista dei leggendari Doors.

Asbury Park, nel New Jersey, è una cittadina che sembra sopravvissuta a se stessa e al suo glorioso passato. Allo Stone Pony, locale sul lungomare ormai famoso in tutto il globo, è praticamente sbocciato e cresciuto il talento del Boss d’America, Bruce Springsteen, all’epoca un ragazzino brufoloso, spettinato e ribelle.

Ed è proprio al Pony che hanno la loro base i CSJ che, per dirla tutta, sono piuttosto avvezzi a condividere il palco con celebrità di primo piano della musica internazionale: lo hanno già fatto con Sebastian Bach degli Skid Row, con Bruce Dickinson degli Iron Maiden, con i Deep Purple e con molti altri.

Runnin’ , il brano di apertura, è un rockaccio che mette subito di buon umore con una linea di batteria particolarmente interessante. A seguire Hanging Round, con il suo intro di chitarra old style e I Can’t Take It che fa venire voglia di alzarsi dal tavolo e sfodera un assolo che non ti aspetti.

L’EP è ascoltabile per intero e downloadabile su Reverbnation e metà dell’incasso andrà ad una fondazione per la lotta al cancro.

A rendere più accattivante il tutto alcuni brani aggiuntivi sui quali spicca la strumentale e arabeggiante Inyerout. Si tira il fiato un attimo con I’d Change It If I Could e la bellissima When Our Time Shines che avanza con l’andatura sorniona di un demo che sa rendere giustizia a una splendida melodia. Chiude Sweet Little Lady, potente pièce in cui la voce di Gene Potts, la chitarra di Sal Marra, il basso di Tony Flora e la batteria di George Papa rimandano al sound tipicamente 70s di estrazione zeppeliana.

Quanta buona musica si produce in quest’angolo di America strangolato dalla crisi. E’ quasi incredibile che ci siano band come questa, verrebbe da dire fortissime e incomprese, che rimangono nel circuito underground senza riuscire a spiccare il volo grosso. Ma, al tempo stesso, è forse una benedizione che l’ispirazione di questi musicisti non subisca la contaminazione letale del mainstream. Sanno così tanto di America e di rock’n’roll che sarebbe un peccato mortale aggiungergli riverberi, sovraincisioni, coretti e testi alla Witney Houston. Meglio la puzza di sudore e il sapore della birra appena spillata. And long live to rock!

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