Garbo & Luca Urbani: Fine

Fine, il nuovo album di Garbo & Luca Urbani, è un lavoro eclettico tra toni elettronici che filano via lisci in un pop di buon livello. Per gli amanti del genere potrebbe diventare un cult

Garbo & Luca Urbani

Fine

(Discipline – XXXV)

electro-pop

________________

 

recensione Garbo & Luca Urbani- FineUna delle cose più interessanti di Fine, album che dopo una quindicina d’anni di osservazione e studio reciproco unisce le ecletticità di Garbo e Luca Urbani, è certamente la sua genesi avvenuta attraverso un crowfunding promosso sulla piattaforma MusicRaiser.

E, nell’era in cui il catenaccio di trapattoniana memoria si ri-chiama attesa e il contropiede ripartenza, nel secolo che ha salutato la detonazione sociale dei Beatles e l’implosione dei negozi di dischi, nell’epoca in cui il file-sharing è l’assassino noto dell’Orient Express che a freddo ha trucidato la musica lungo una corsa che di fatto non conosce più stazioni, e nell’attesa dell’anno di un reset impietoso che porti nuovi chitarre nelle cantine dei palazzi di periferia a respirare umidità sperando a bassissima voce nel grande salto, acquisire l’inaspettata consapevolezza che ci sia ancora qualcuno disposto a fare una colletta per finanziare un progetto artistico, peraltro di nicchia, assurge quasi alla valenza della creazione di una massoneria open dall’intelletto fine e dalla sensibilità ateniese.

Gli undici brani filano via lisci tra toni elettronici neanche troppo vagamente noir, e non è solo la suggestione di quel degrado metropolitano dai contorni cool alla Tarantino artatamente rappresentato dalla cover.

Per gli amanti del genere potrebbe diventare un cult al pari di tanti polizieschi all’italiana usciti nei Settanta e rivalutati soltanto un paio di decenni più tardi, non saprei.

Per gli altri Fine è una raccolta di canzoni in cui la voce di Garbo narra i suoi testi con l’immancabile tono sexy e con il consueto “album di fotografie” a cui il nostro ci ha piacevolmente abituato. Dal canto suo Luca Urbani fa quello che gli riesce meglio, un pop elettronico affidato tanto alla fantasia quanto alle macchine, ma un po’ abusato.

A me fa venire in mente una sperimentazione all’interno di un universo che – invece che futuribile – è inevitabilmente vintage (il che potrebbe apparire anche una contraddizione sebbene non lo sia).

La crescente e distorta Il fine e Allinearsi, inattesa e accomodante quanto il troncante finale, sono i due brani che si elevano al di sopra di un album niente male, ma confinato al culto dei soli adepti (tra i quali il direttore di RockShock, Massimo Garofalo, che non me ne vorrà – spero – per aver spaccato il pelo in 4 a un album comunque piacevole).

Gli ultimi articoli di AGab

Condivi sui social network: