Bill Wyman
Drive My Car
(BMG)
classic rock, blues
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Alla fine l’estate è davvero passata e posso dedicarmi, con colpevole ritardo, a scrivere due righe su Drive My Car, l’ultimo album a firma Bill Wyman, uscito ad agosto scorso.
Ebbene sì, alla bellezza di (reggetevi forte) 87 anni il più anziano dei Rolling Stones ha trovato il tempo e-soprattutto-le energie per pubblicare un album.
Dimenticate gli Stones, però. Della classica miscela di rock e blues degli ex compagni di viaggio non ne troverete traccia. Di rhythm and blues delle origini, di quello invece sì. A profusione. Dieci brani in tutto (più altri due in aggiunta nelle edizioni digital) di cui cinque portano la sua firma del buon vecchio Bill.
Per dirla con parole sue: “Non è una cosa che faccio quotidianamente, ma a volte vedo una chitarra in un angolo della stanza, inizio a suonarla e accade qualcosa…” Se non fosse per quella antica storia di Sympathy For The Devil, uno direbbe: che Dio ti benedica!
La raccolta si apre con una personalissima versione della Dylaniana “Thunder on the Mountains”, che chiarisce subito quale sarà l’atmosfera generale: un “groove rilassato alla JJ Cale”. È lo stesso Wyman a citarlo nelle interviste, come farebbe un giovane fan.
”A volte lo faccio sentire agli amici, e mi dicono: sembri proprio tu”.
Segue Drive My Car, e no: non è una cover, meno che mai dei Beatles. Le parole “You can drive my car, but don’t drive fast” non potrebbero essere più lontane dagli stereotipi del rock’n’roll. Alla soglia dei 90 anni e dopo aver banchettato per decenni su tavole imbandite con tutti gli eccessi che si possano immaginare, direi che ci può stare.
Bad news:è un divertente blues su un riff che fila via liscio come l’olio su cui, fondamentalmente, il nostro Bill mette in fila parole che fanno rima.
Gli appassionati del genere (mi cospargo il capo di cenere: non posso dire di farne parte) di certo conosceranno già Storm Warning, del chitarrista olandese Hans Theessink, che firma anche l’ottava traccia Wings. A entrambi i brani, Wyman aggiunge quel sapore vintage fuori del tempo, grazie anche alla sua voce poco più che sussurrata.
Light Rain e Ain’t Hurtin’ Nobody sono sinceri omaggi a due grandi vecchi del blues, rispettivamente Taj Mahal e John E. Prine.
Rough Cut Diamond è una cover di sé stesso, o meglio dei Bill Wyman’s Rhythm Kings. Chissà, sotto sotto, non sia una garbata risposta agli Hackney Diamonds della premiata ditta Jagger/Richards.
Le cose più vicina al rock’n’roll sono la cover di Two Tone Car di Chuck E. Weiss, e la conclusiva Fool’s Gold di Lloyd Jones.
In definitiva: cosa dire di questo Drive My Car? Sarebbe da folli aspettarsi qualcosa di rivoluzionario da un artista che ha oramai superato la sesta decade di onorata carriera. Facciamo due calcoli: Wyman ha suonato negli Stones per trenta anni di fila, e dalla sua fuoriuscita ne sono passati altrettanti. Ha ancora senso considerarlo un ex-Rolling Stone? Certo che sì! Stiamo parlando di uno dei pilastri su cui si fonda buona parte della musica che amiamo, in fondo.
Onestamente, forse non staremmo neanche parlando di questo-piacevolissimo-album in questa sede, se non fosse per il passato leggendario del suo autore e interprete. Lui però uno che guarda al futuro. Un futuro che è anche passato. Qui però la macchina del tempo non è la DeLorean di Marty Mcfly, ma la Cadillac Fleetwood del ’37 della splendida copertina, e noi vogliamo immaginare Bill a bordo, mentre canticchia il blues tamburellando con le dita sul volante.
Procedendo, lentamente, sulla Route 66. In contromano.
Drive My Car
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