U2: Roma, Stadio Olimpico, 8 ottobre 2010 (Live Report)

Una serata di grande effetto che dimostra come, dopo anni e anni, la maestria dei quattro di Dublino è sempre la stessa. Rimanendo capaci di dare vita ad uno spettacolo davvero "Magnificent". Guarda la foto gallery

U2

360° Tour, Roma, Stadio Olimpico, 8 ottobre 2010

live report

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u2-recensione-concerto-roma-olimpico-8-ottobre-2010What time is on Earth? Che ore sono sulla Terra?

Sono più o meno le 21:20 minuti primi quando, senza che le luci dello Stadio Olimpico di Roma si spengano, fanno la loro comparsa sul palco gli U2, quei quattro ragazzi di Dublino che, negli ultimi trent’anni, sono riusciti ad infiammare folle oceaniche in tutto il mondo.

Non c’è neanche un metro libero, il parterre è gremito e gli spalti prendono vita in una danza continua. Le orecchie hanno fatto appena in tempo a liberarsi delle note di quegli Interpol che sono riusciti a creare, con i loro successi vecchi e nuovi, una via comoda e leggera per quello che, ora, ha inizio.

Ha inizio con un’esplosione di quasi 80.000 voci che, dopo Return Of The Stingray Guitar a fare da intro, intonano tutte assieme Beautiful Day. Un inizio degno per una serata che non verrà facilmente dimenticata.

La scenografia, la stessa che già ci aveva stupito un anno fa, sembra saltare in aria in un turbinio di luci e colori quando, nel delirio collettivo, partono le note di I Will Follow.

Nonostante quello che si possa pensare, no, gli U2 non iniziano il loro concerto con brani tratti dal loro ultimo album ma lo fanno con queste due glorie che non sembrano perdere di attualità neanche accanto a quelle che seguono: le più recenti Get On Your Boots e Magnificent.

E non esagero nel dire che, per me, rimane sempre difficile riuscire a spiegare l’indescrivibile alchimia che si crea quando Bono e soci decidono di riunire, aggregare, fondere insieme tante vite. Pur essendo al mio terzo concerto dei quattro Irlandesi.

La serata procede con scioltezza. Elevation ed Untill The End Of The World scorrono che è una meraviglia ma è quando si arriva alle note di I Still Haven’t Found What I’m Looking For che tutto lo stadio si incendia. Un incendio di carta che scrive la parola ONE a caratteri cubitali e che diventa, magicamente una bandiera dell’Irlanda e dell’Italia. Ed è strabiliante, dalla tribuna stampa dove mi trovo, vedere che non serve un’organizzazione miliardaria per creare qualcosa di emozionante. Basta un tam tam mediatico in internet, serve semplicemente la passione. Passione che non è mai mancata e che non manca ora che lo spettacolo prosegue con due famosi cavalli di battaglia come Bad ed All I Want Is You. Ma questo brano dura solo pochi secondi e presto si trasforma in una emozionante Mercy e nella più leggera In A Little While.

Ed è a questo punto che Bono, pur avendo già abbondantemente interagito con il pubblico, si lascia andare a Miss Sarajevo. Si lascia andare ad un omaggio a Luciano Pavarotti. Si lascia andare cantando la parte che il nostro tenore più famoso cantava. E lo fa con una maestria impressionante, con quella voce che, durante tutta la serata, non trova nemmeno una minima falla.

A questo punto, da Pavarotti a parlare dell’Italia e di Roma, il passo è breve. Ci ringrazia, il cantante. Tutti. E dedica alla nostra meravigliosa capitale quella City Of Blinding Lights che, sotto le migliaia di luci che questo gruppo ci ha portato, sembra ancora più bella stanotte.

Scorre veloce il tempo. Molto veloce. E’ già il momento di Vertigo, infatti. Di Vertigo e poi di I’ll Go Crazy If I Don’t go Crazy Tonight che viene introdotta dalla storica Relax dei Frankie Goes To Hollywood. Tutto in un’apoteosi di cori folli che durano il tempo di stordire la mente quando, all’improvviso le luci si spengono. Cala il silenzio e Bono prende la parola. Roberto Saviano, dice; e basta questo nome per far saltare in aria coscienze sopite.

Ovviamente sono messaggi contro ogni forma di violenza e povertà quelli che ci vengono dati, messaggi che, come al solito, lasciano il pubblico estasiato ma spesso anche un po’ sconcertato. Contro la povertà e poi? Poi fare uno spettacolo così “Magnificent”? Con biglietti dai prezzi esorbitanti? Sì, è proprio così. Nonostante sia una contraddizione in termini, nonostante sia un argomento che lascia sempre interdetti chi, questo gruppo, non lo ama e non solo. Perché il prezzo medio per partecipare a questo circo non è indifferente. Eppure credo sia sempre efficace quelle che quest’uomo cerca di fare. E poi, da quello che vedo, il pubblico pagante avrebbe pagato anche di più e dai loro occhi si capisce chiaramente che quello che hanno davanti è lo spettacolo che vogliono. Quindi, che Bono continui con la sua opera di propaganda politica.

E quale canzone se non Sunday Bloody Sunday poteva fare da sottofondo a tutto questo? Dei ragazzi irlandesi che sono seduti due file sotto la mia perdono anche quell’ultimo grammo di contegno che, a stento, avevano conservato. E si urla, si urla e si urla ancora. E’ impossibile non farlo perché la platea è completamente trascinata. In un continuo, a questo punto, di messaggi umanitari. Il volto della paladina dei diritti della Birmania Aung San Suu Kyi sovrasta qualsiasi altra cosa mentre, dopo MLK, le viene dedicata Walk On. Struggente e poetica. In un contorno di lanterne con disegnato il simbolo di Amnesty International.

Ed ora? Gli U2 ci salutano ed escono dal palco. Ma no, non è possibile. Non può finire così. Infatti eccoli di nuovo. Trionfanti trasformano l’intero stadio in fuoco liquido. E’ il momento di One e di Where The Streets Have No Name. E quello che succede quando i quattro se ne vanno di nuovo lo si può solo immaginare. Sembrano essere andati via davvero, a questo punto, lasciandoci in compagnia di una piccola astronave proiettata sui monitor. Un’astronave che li vede prendere la via verso altri lidi. Ed un piccolo astronauta continua a chiederci “What time is on Earth?”. E poi sì, ci sono ancora una volta loro quattro sotto quegli enormi schermi che completano l’opera donandoci Hold Me Thrill Me Kiss Me Kill Me, With Or Without You (che vede l’intero stadio trasformarsi nella via lattea) e, da ultima, Moment Of Surrender.

Bono Vox, The Edge, Adam Clayton e LarryMullen jr continuano a ringraziarci tutti, a sorriderci e a salutarci fino a scomparire definitivamente in fondo ad a quella scala che, poco più di due ore e mezzo prima aveva visto il loro ingresso trionfante.

A voler tirare le somme c’è da dire che si è trattato di un concerto di enorme impatto e di altissimo effetto. Forse ci sarebbe stato bisogno di una limatina all’audio soprattutto per quanto riguarda l’amplificazione che, in alcuni casi, non ha permesso di godere appieno (anzi, a 360°) dell’egregia esecuzione dei quattro artisti, e della chitarra di Edge in particolare, che non hanno perso neanche un grammo del loro smalto. Ma direi che, tutto sommato, a vedere le facce stanche e soddisfatte del pubblico che, pian piano, abbandona lo stadio non si è trattato di un grosso problema. Forse perché nascosto dietro il carisma di una band che, nonostante gli anni, non smette mai di stupire.

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