The John Fear: intervista

In occasione del M.E.I. di Faenza abbiamo fatto una chiacchierata con i The John Fear, band genovese dal sound violento e ruggente. Una rarità nella musica indipendente italiana

fearBrani lunghi e adrenalinici, energia allo stato puro, sudore e passione. Questi sono i segreti dei The John Fear, band emergente che si è esibita in questa dodicesima edizione del M.E.I. Abbiamo parlato un po’ con il gruppo del loro modo di fare musica. Ecco cosa ci hanno detto.

Rock Shock: Cerchiamo di capire le traiettorie musicali entro cui vi muovete. Come definireste il vostro genere e quali sono i vostri artisti di riferimento?

È una domanda più difficile di quello che sembra. Molti ci hanno associati allo stoner, ma noi non siamo affatto d’accordo. Cerchiamo di fare quello che ci piace, nelle nostre canzoni rovesciamo tutte le nostre influenze. I John Fear nascono dalle ceneri degli Acampora, che facevano power folk, un genere molto diverso e meno violento di quello che facciamo ora. Questo per dire che non cerchiamo di seguire diligentemente uno stile, ma assecondiamo i nostri gusti del momento, senza porci troppi problemi.
Per quanto riguarda il sound attuale, ci sentiamo molto influenzati dai primi Queens of the Stone Age.

Rock Shock: La vostra è una musica molto americana e poco italiana. Pensate che ci sia qualche gruppo italiano simile a voi o siete in qualche modo dei pionieri?

In effetti, facciamo un po’ fatica a individuare dei gruppi italiani che fanno la nostra stessa musica. Ci sono degli artisti che hanno un sound diverso dal nostro ma hanno delle influenze simili, come Il Maniscalco Maldestro. In realtà la musica italiana ci piace molto, ma ascoltiamo grossi nomi che hanno poco o nulla a che fare con il nostro stile , come gli Afterhours e i Tre Allegri Ragazzi Morti.

Rock Shock: Parliamo più nello specifico delle vostre canzoni. Sono dei brani molto potenti, ed hanno una carica che voi prolungate anche per otto minuti! È una formula un po’ inusuale, di solito brani che hanno questa energia vengono condensati in pochi minuti…

Sì, le canzoni sono molto lunghe, a volte anche troppo! Noi tentiamo di accorciarle, ma abbiamo talmente tanta carica da esprimere che non riusciamo a fermarci a un brano di due minuti. In realtà tutti i nostri brani sono basati su un unico riff di chitarra energico e ripetitivo, su cui si basa tutta la melodia. È una caratteristiche che riprendiamo dal grande rock, quello dove il riff sta alla base di tutto.

Rock Shock: Oggi vi siete esibiti al M.E.I. Che cosa rappresenta per voi questo evento?

Del M.E.I. si è detto di tutto, ma continua a rimanere un evento unico nel suo genere in Italia. Di posti dove gli artisti emergenti possono esibirsi davanti agli occhi della discografia indipendente c’è solo questo nel nostro Paese. All’estero invece ci sono molte manifestazioni simili, come pure ci sono dei festival molto curati.
Questo succede perchè all’estero c’è un’attenzione particolare a diffondere la musica nazionale, come in Francia, dove alle radio è obbligatorio che il 50% della musica trasmessa sia francese.
Anche in Italia bisognerebbe incentivare di più la musica nostrana, incominciando proprio dai festival, perché i festival continuano a rimanere imprescindibili, anche se adesso c’è lo strapotere di Internet. La rete è un’arma a doppio taglio: è democratica ma ci sono delle controindicazioni, ad esempio non si comprano più i dischi e non si va più ai concerti. Le nuove generazioni si sono impigrite. Con Internet che diffonde tutto in modo così semplice, i ragazzi evitano di muoversi e hanno perso la curiosità e la voglia di andare in giro a cercare nuovi gruppi, come capitava invece negli anni Novanta.
Bisognerebbe usare Internet come supporto di partenza, come aiuto, ma poi approfondire di persona. Perché, nonostante la rivoluzione tecnologica della musica degli ultimi anni, è ancora ascoltando una band dal vivo che si capisce davvero quanto vale.

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Sofia Marelli
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