King Of The Opera: Pangos Sessions

Arrivato ai trent'anni Alberto Mariotti, in arte King Of The Opera, fa il punto sulla sua carriera musicale con Pango Sessions: rivisitazioni di brani pescati dal suo repertorio a partire dalla prima incarnazione come Samuel Katarro, intervallati da una serie di cover tutte prodotte nel 1985, dai Sonic Youth ai Replacements

King Of The Opera

Pangos Sessions

(Autoproduzione)

indie


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recensione-king-of-the-opera-pangos-sessionsArrivato al giro di boa dei trent’anni, Alberto Mariotti decide di fare il punto della situazione, fissando i paletti della sua storia musicale attraverso le passate incarnazioni che lo hanno visto produrre musica sotto i moniker di Samuel Katarro e più recentemente di King Of The Opera che su queste pagine abbiamo seguito al disco d’esordio ed a quello della conferma. Proprio con quest’ultimo pseudonimo Mariotti  firma il nuovo Pangos Sessions, raccolta di cover e proprie produzioni riarrangiate in chiave minimale, intima e per lo più acustica.

La tracklist è costruita intervallando personali versioni di cinque brani di altrettante storiche band, originariamente prodotti nel 1985, l’anno di nascita del musicista toscano, ad altrettanti brani scritti da Alberto tra il periodo Samuel Katarro e quello King Of The Opera. Ripescando dai lavori realizzati dall’incarnazione Samuel Katarro, Mariotti tira fuori il trittico Pop Skulls, 9V e Beach Party che si incastrano alla perfezione, col senno di poi, nella visione d’insieme che comprende i due episodi strettamente King Of The Opera: By The Shore e Nothing Outstanding.

Si percepisce, in queste versioni asciutte ed edulcorate da ogni altro contributo, come la penna che ha partorito i brani sia la medesima. Ne viene fuori l’identikit di un musicista in bilico su un filo obliquo, sempre fedele a se stesso ed alle proprie influenze, ben radicate e riconoscibili, ma in continua evoluzione stilistica, come alla ricerca di una forma sempre nuova e differente nella resa dei brani. Come uno stilista, cuce addosso alle sue canzoni vestiti sgargianti e paillettes quando lo ritiene necessario, ma sa anche (e lo si intuisce in questo bignami che è Pangos Sessions) mandarli in passerella con jeans e maglietta senza farli perdere appeal.

La scelta delle cover tradisce una varietà di ascolti al limite della compulsione. Troviamo versioni acustiche di Sonic Youth (Death Valley ’69 conserva la rabbia dell’originale nel tempo e nella vocalità sbilenca) e The Cure (A Night Like This qui è dilatata  e resa ancora  più eterea) che risultano del tutto inattese affiancate ad artisti decisamente più vicini alla produzione di Alberto Mariotti, come Tom Waits (Blind Love), The Replacements (Swinging Party ) e The Waterboys (The Whole Of The Moon ). Tuttavia, complice la veste sonora scarnificata del disco, il tutto si amalgama dando una percezione di omogeneità inaspettata.

Un plauso, King Of The Opera, se lo merita soprattutto per aver corso il rischio di sembrare inutilmente auto-celebrativo. Uno ulteriore se lo merita per come è riuscito a scongiurarne il pericolo. Probabilmente Pangos Sessions è realmente solo una bandierina, piantata con la scusa dei trent’anni, per mettere in chiaro ciò che è stato in attesa di un nuovo album vero e proprio. Magari con un altro nome d’arte o ripescandone uno vecchio. A questo punto la partita sembra completamente aperta a qualunque stravolgimento. L’unica certezza che rimane è la costante della penna ispirata di Alberto Mariotti.

 

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