D.G.I.: Checkmate

È un’opera rock il primo, mastodontico album dei D.G.I. 2 CD, 37 canzoni, 14 artisti, 2 ore di musica eclettica e intelligente per il trio isolano che apre le porte del proprio studio a chiunque abbia voglia di contribuire a portare idee fresche ad arricchimento di un progetto ambizioso e, nel complesso, ben riuscito

D.G.I.

Checkmate

(Autoproduzione)

pop, rock

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D.G.I.- CheckmateD.G.I. è un acronimo formato dalle iniziali dei componenti di una band nata a Cagliari 10 anni fa. Loro sono in tre, Davide Sgualdini (batteria e percussioni, tastiere), Gianluca Menchi (basso) e Ivan Sgualdini (chitarre) e hanno un progetto ben preciso in mente.

La summa del loro pensiero artistico è Checkmate, primo album, un’autoproduzione imponente e per certi versi maestosa.

Si tratta di rock, e questo è un primo punto fermo. I brani, tutti originali, sono stati composti dai D.G.I. e elaborati nel loro studio di registrazione “quasi” privato.

Lo dichiarano loro stessi di essere alla ricerca di qualcosa di originale assumendosi tutto il peso che una dichiarazione di intenti di questa portata può avere sul preconcetto dell’ascoltatore medio e mediamente distratto.

Eppure la loro sperimentazione sembra in qualche modo sincera. L’accavallarsi di strumenti e sonorità è un punto focale di questo lavoro ambizioso che, inevitabilmente, corre su una linea di confine molto sottile. E forse il valore aggiunto è proprio vedere le loro gambe che, coraggiose e sfrontate quanto basta, sembrano giocare a una campana adulta e –quindi- apparentemente nonsense, perennemente instabili nella ricerca dell’equilibrio tra la superbia e l’umiltà.

Checkmate ha un impianto mastodontico, l’ho accennato. Ebbene stiamo parlando di ben 37 (trentasette!) canzoni divise in 2 cd, che i D.G.I. chiamano Atto 1 e Atto 2, etichettando –si fa per dire- questa variegata collezione come opera rock.

C’è una particolarità di questo zibaldone sonoro che mi colpisce in modo particolare, perché tende a disallinearsi dalla grossa parte dell’attuale produzione italiana. Si tratta della socialità che permea l’idea portante dei tre musicisti. Valutiamola così: la globalizzazione del pensiero ci ha sorpresi senza spaventarci quanto, invece, quella economica. Per questo oggi la tendenza di un po’ tutti è quella di sparare nel mucchio dei social per colpire i bersagli sicuri della manipolazione delle informazioni, della banalizzazione del pensiero comune e individuale, della malvenuta ignoranza latente e latitante.

Ecco, i D.G.I. se ne fregano di tutto questo e spalancano le loro porte a chiunque abbia voglia di entrarci. Nel loro manifesto scrivono che “la band è sempre alla ricerca di musicisti volenterosi che siano in grado di dare il loro contributo alle produzioni D.G.I.”.

E in Checkmate le collaborazioni, principalmente vocali, sono ben 14 e nei credit vengono definite interpretazioni, vestite da pedine e lanciate su una scacchiera che inevitabilmente, a ogni diversa casella, colora un microcosmo che è parte di una costellazione maggiore per niente nebulosa.

Tra gli artisti di riferimento che i D.G.I. citano e suggeriscono ci sono gruppi che chi scrive ama particolarmente come Alice Cooper, Ugly Kid Joe, Bon Jovi e Skid Row.

E c’è una ballad acustica, So Far Away, che mi ricorda davvero moltissimo il mood del Sebastian Bach di I Remember You (tanto che mi viene da pensare a un omaggio) e anche più di qualche band glam-metal che non ha avuto la fortuna che forse meritava.

Ma ci sono anche fraseggi celtici, armonie vocali alla Dolores O’Riordan, intermezzi di budello buttati lì in uno schema “a casaccio”. E poi cori gospel e vocine impertinenti o ancora pelli invecchiate che, sotto la pressione di polpastrelli vagabondi, mixano jam session impossibili e suggestive tra Black Sabbath, Marilyn Manson e Youssou N’Dour.

Forse il limite che pone sotto scacco matto questo albumone dei D.G.I. è proprio il suo punto di forza principale ossia la varietà di stili che si incontrano e che, nel complesso, lo lasciano assomigliare a un musical off-Broadway nella cui ecletticità mai eccessiva i puristi potranno individuare un manierismo sul quale abbattere i martelli del loro fondamentalismo.

Ma questo non cancella i meriti e i pregi di un qualcosa di ambizioso e meritorio di attenzione.

Già, l’attenzione, questa affascinante e misteriosa amica perduta.

 

 

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