Bianco: Guardare Per Aria

Cosa ci insegna Bianco, con Guardare Per Aria, sull'essere cantautori a metà degli anni dieci. Un disco che è un punto di partenza per un autore che mostra i precursori di una maturità artistica che gli vale il peso di una grande responsabilità

Bianco

Guardare Per Aria

(INRI)

canzone d’autore

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Bianco- Guardare Per AriaIl terzo disco di Bianco Guardare Per Aria è un esempio lampante di come l’evoluzione del cantautorato indipendente degli anni zero abbia mischiato le carte al punto da scolorire i confini tra ciò che suona più mainstream e ciò che invece rimane (sempre più stretto) dentro ai confini dell’indie.

Questo lavoro è stratificato, complesso, prodotto con una cura ed un gusto estetico notevole.

I brani sono piccoli bignami di cantautorato italiano. La voce è in primo piano, quasi sempre doppiata, con un caratteristico timbro melodioso. Le melodie piene di ganci e rimandi, citazioni, da Vasco a Gazzè, da Brunori ai TARM, orecchiabili e penetranti.

È così che all’interno dell’album, il torinese cambia più volte registro e stile.

Le numerosissime collaborazioni all’interno dei brani curvano lo spazio gravitazionale di un disco che (e questo è forse uno dei difetti del lavoro, che emerge sin dal primo ascolto) si adatta, come un drappo, sui sodali di turno.

Si percepisce chiaramente l’impronta romana in Le Dimensioni Contano e Aereoplano, l’impazienza di Levante in Corri Corri, si riconoscono i Nadar Solo in Almeno a Natale. Si intravedono (molte) influenze diverse probabilmente ancora troppo poco smussate.

Bianco si inerpica con intensità, chitarra a tracolla e voce brillante, su gli arrangiamenti ariosi tanto quanto sui passaggi più intimi. Riesce a conciliare momenti di puro amarcord alla Dario Brunori a sprazzi di presente ironico e non-sense in stile Giuseppe Peveri.

Il tutto lascia un po’ di amaro in bocca, per una occasione, forse, non colta del tutto.

È come se questo ragazzo di belle speranze avesse ancora un po’ di paura di mostrarsi per ciò che è realmente e sa fare bene. Manca la sfrontatezza e l’edonismo che avrebbero fatto di questo disco, probabilmente, un piccolo capolavoro di delicatezza, poesia e profondità.

Bianco ha tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento per molte giovani orecchie. Saprebbe traghettarci senza intoppi attraverso quest’epoca di transizione della musica italiana, facendoci approdare comodamente in porti nuovi di zecca, costruiti sui pilastri gettati da Le Luci, Paolo Benvegnu, Dimartino, Giuradei.

Saprebbe interpretare perfettamente il nostro tempo, Bianco, e raccogliere consensi a palate se solo si alzasse in piedi e ripetesse a se stesso tra i denti “Ok, ora vi faccio vedere io”.

È stato capace, in questo disco, di confezionare liriche e melodie che una volta entrate in testa diventano il paradigma di giornate intere. Rimbalzano sulle cose, le persone, le case, le strade, i palazzi. Tutto cambia forma visto attraverso questo atlante, fatto di fili d’erba, stelle, draghi felici, amori finiti e vite future. Queste canzoni non ve le toglierete facilmente dalle orecchie, continueranno a punzecchiarvi, piacevolmente, come lana, di quella irlandese, sulla pelle nuda.

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