Animation: Machine language

A cinque mesi dalla prematura scomparsa di Bob Belden esce Machine Language, il nuovo album degli Animation che, proponendosi di analizzare il rapporto tra mente umana ed intelligenza artificiale, è molto più di un album postumo

Animation

Machine language

(RareNoise)

fusion, jazz

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Animation- Machine languageMachine language non è un album che si può ascoltare distrattamente in auto tra un giro all’Ikea e uno da Decathlon. Il nuovo lavoro degli Animation non consente svagatezze e, anzi, assorbe ogni attenzione dell’ascoltatore che diventa quasi succube di un miscuglio di suoni ipnotici.

Benché Bob Belden ci abbia prematuramente lasciati nello scorso mese di maggio, Machine Language non ha per niente il sapore di un album postumo.

Al contrario, la visione psichedelica del performer americano appare più viva che mai in uno zibaldone sonoro che si propone di analizzare il rapporto tra la mente umana e quella artificiale.

Il basso elettrico di Bill Laswell ha un ruolo da protagonista tra atmosfere fusion che incontrano il jazz elettronico creando scenari a metà strada tra Miles Davis e Stanley Kubrick, mentre il sax avvolge la pregnante voce narrativa del celebre cantante jazz Kurt Elling che sembra emergere da abissi imperscrutabili.

Completano la squadra Peter Clagett alla tromba elettrica, Roberto Verastegui alle tastiere e Matt Young alla batteria, gli stessi musicisti che avevano realizzato Transparent heart, il precedente album degli Animation uscito nel 2012.

Lo scarno comunicato stampa di presentazione di Machine Language si apre così: “Machine Language è un’opera cyberpunk, un tentativo di dare risposta alla domanda: Può una macchina avere un’immaginazione?”.

Forse, nonostante i buoni propositi, l’eclettismo e l’audacia di un gruppo assolutamente fuori dagli schemi, la questione rimane irrisolta.

Quel che è certo, invece, è che la nostra immaginazione è sensibilmente stimolata da questo delirio musicale che tramortisce e stordisce.

Vi pare poco?

 

 

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