Amorphis: Circle

Chi pensa che il progressive duro e il folk siano due ambienti melodici un po’ discordanti non ha mai ascoltato gli Amorphis, questo è chiaro. Circle sembra quasi un riassunto della storia musicale del gruppo e delle sue atmosfere cupe

Amorphis

Circle

(CD, Nuclear Blast)

death metal, progressive metal, folk metal

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Chi pensa che il progressive duro e il folk siano due ambienti melodici un po’ discordanti non ha mai ascoltato gli Amorphis, questo è chiaro. Holopainen e soci tornano ancora con Circle, a due anni dal loro The Beginning of Times che aveva fatto avvertire un certo odore di prepensionamento per i sei bardi finlandesi, date le scarse idee che aleggiavano in quasi ogni traccia di quell’album del 2011 e che ormai è difficile trovare senza un grosso alone di polvere sulla copertina, anche negli scaffali dei più affezionati.

Ebbene, quando si precipita bisogna avere la mente lucida per trovare un appiglio per salvarsi e gli Amorphis l’hanno trovato, sfoderando un album di buona fattura che di sicuro ha fatto sorridere i più esigenti. Si sa, quando si tratta di avere a che fare col death progressive, o anche solo sfiorarlo, non si scherza e il rischio è alto. Holopainen lucida la chitarra, Joutsen fa i suoi gargarismi e i due, guardandosi negli occhi, si dicono “ok, addesso facciamo vedere chi siamo!”

Circle sembra quasi un riassunto della storia musicale del gruppo e riassume tutti quei venti cupi tipici di pietre miliari come Skyforger e Elegy.

Si parla di un album che regala sinuosità ben disegnate, in cui si intrecciano growl, ritornelli orecchiabili, riff mattonosi, speed, ponti lenti (che quasi vogliono coccolare l’ascoltatore dopo le fucilate che li precedono) e armonie che giustificano l’ordinata architettura dell’album.

Speed? Se partiamo dalla canzone di chiusura Dead Man’s Dream, la risposta è sì; e questa sembra essere la tipica canzone che dimostra che al suo interno puoi metterci di tutto. Cambi perfetti, voce che non trova pace, assoli di chitarra quando non te li aspetti e, come se non bastasse, il tastierista Kallio che ci fa percepire in modo non indifferente la sua presenza.

Certo, di epico non c’è moltissimo se non Nightbird’s Song che sembra essere la chiave di volta per rilegarci agli Amorphis degli anni ’90. E’ un brano che sicuramente poco tollera l’assenza di un assolo di chitarra incisivo, tuttavia la lacuna è colmata quando ci si abbandona all’armonia ipnotica del finale. La melodia, quasi di maideniana memoria, fa da padrone – anche se per poco – in Shades of Grey, pezzo di apertura che sicuramente rispetta i canoni del gruppo. L’inizio è banale ma efficace.

Da qui si passa a pezzi un po’ più lenti e anonimi come The Wanderer, seguito immediatamente da Narrow path che, per fortuna, fa dimenticare immediatamente il grigiore della canzone precedente.

Degna di nota è Enchanted by the Moon che sicuramente non annoia. Varia nella sua struttura e, forse, l’ottima prova del cantante si denota proprio da questa canzone.

Insomma, Holopainen ha trovato l’appiglio di salvezza, ma un po’ debole. Si parla di un album che può piacere e regalare dei sorrisi sì, ma dopo aver masticato l’ultima traccia, rimane un’incognita. Si poteva far meglio? Siamo lontani dal concetto di album perfetto, visto che Circle possiede comunque alcuni brani – come il suddetto The Wanderer e Into the Abyss– che io definisco veri e proprio virus per un cd per cui i sei bardi avrebbero sicuramente potuto far meglio. La depressione artistica dopo The Beginnings of Times, però, è stata ampiamente superata con Circle ed è questo che importa.

Buon album, questo degli Amorphis. Varrebbe la pena di aggiungerlo alla propria collezione, ma lontano da quei CD che faresti cantare ad alti decibel allo stereo della tua macchina.

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Fabio Romanzi
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