Peppa Marriti Band: Këndo

Tra folk, rock, suoni gitani e del mediterraneo, la Peppa Marriti Band dà più di una soddisfazione, e permette di scoprire una musica in lingua Arbëreshë che merita l'ascolto

Peppa Marriti Band

Këndo

(CD, RadioEpiro/Sanarecords)

folk, rock

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kendo-150x150 (1)Premesso che chi scrive, prima di cimentarsi nell’ascolto della Peppa Marriti Band, niente sapeva dell’Arbëreshë (l’albanese parlato dalla minoranze di origine albanese stanziate da centinaia di anni in alcune zone dell’Italia meridionale), ma che dopo alcune ore passate ascoltando questo Këndo (il secondo album della formazione di stanza a Santa Sofia d’Epiro) una certa curiosità è indubbiamente sorta per questa cultura e questa lingua: il lavoro che sta dietro questi tredici anni di attività della band fa venire in mente (e getta un ponte verso) esperienze simili di culture altre che hanno cercato nella musica il mezzo di espressione giusto.  Manu Chao su tutti, certo, ma la lista potrebbe allungarsi a nomi forse meno pertinenti musicalmente (e più legati all’elettronica dei Peppa Marriti, ad esempio gli Asian Dub Foundation o gli Oi Va Voi), ma che come loro sono interpreti di una cultura numericamente minoritaria ma vitale.

Per quanto pertiene più strettamente il cotè musicale: la musica dei Peppa Merriti sta da qualche parte tra un combat folk ed un rock con ascendenze ’77 ma anche con radici nella new wave un po’ danzereccia (tanto tornata in auge in questi anni zero). Ecco quindi cheIlly Ditës ha un beat saltellante che fa tanto Talking Heads, così come la title-track inizia come un pezzo dei Clash e procede come dei Franz Ferdinand che vanno a scuola dagli Asian Dub Foundation. Ottimamente giostrata tra musica gitana e tempi dispari sono poi alcuni dei brani più caldi (e più adatti al ballo) come Na Vekkiarella. Altri invece vedono i membri della band impegnati a declinare il suono delle chitarre acustiche con i sapori (ed i suoni) del mediterraneo (Jam E Vdesmi Uri), o a suonare mid-tempo più canonicamente rock, magari accompagnati da un violino sognante (Danza), oppure a lanciarsi in intrecci di acustiche/elettriche che non disdegnano ovvi rimandi ai balcani (Mos Më Harrò), ed in ballate dall’approccio à la Dylan (dei tempi di Desire magari, come il duetto Buhua). Unici momenti meno convincenti sono quelli che si rifanno ad un rock più schematico (ed anni ’70), come nell’opener Vashez ed in Questa Vita (quest’ultima però ravvivata da un beat vagamente disco che riporta alla mente ancora certi Franz Ferdinand). Ed infine arriva la Dub Dabby posta in chiusura d’album; un pezzo assolutamente fedele al proprio nome: pulsioni e delay dub, spazi espansi e chitarre elettriche che, di tanto in tanto, si lanciano in brevi svisate anni ’70.

Sfaccettato e composito, Këndo abbisogna di più ascolti per penetrare magari anche attraverso timpani poco abituati a questi suoni, ma alla fine ce la fa: le canzoni ci sono, gli arrangiamenti anche, ed il tutto fa venire una buona voglia di correre a vedere la Peppa Marriti Band dal vivo.

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Michele Segala
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