Intervista agli Yattafunk

Yattafunk Sucks è l’esplosivo debut album degli Yattafunk che abbiamo recensito e Gabriele Mangano, vocalist e chitarrista della band, si è fatto intervistare da Rockshock per approfondire l’uscita di questo disco

Yattafunk Sucks è l’esplosivo debut album degli Yattafunk, che abbiamo recensito in questa pagina e Gabriele Mangano (in arte “Funk Norris”), vocalist e chitarrista della band, si è fatto intervistare da RockShock per approfondire l’uscita di questo disco.

Funk-Norris-Yattafunk

Yattafunk. Questa cosa degli Yattafunk è nata per scherzo perché avevamo tutti e quattro dei progetti paralleli in quel momento, come il batterista che suonava in una cover band dei Dream Theater. Una sera tra una jam e l’altra abbiamo visto che nonostante avessimo background musicali completamente differenti c’è stato subito un bel feeling. Ci rifacciamo ai grandissimi del passato, vengono subito in mente Grand Funk Railroad e Deep Purple quando ascolti il disco, ma abbiamo un sound abbastanza personale, e su questa scia nessuno impone niente all’altro. Siamo tutti e quattro agli antipodi, fosse per me uscirebbe un pezzo southern metal, il bassista invece è in fissa con il funk anni 70. Di solito le canzoni partono così, da un riff di chitarra o da uno di basso, e si costruisce tutto quello che viene in mente.

RockShock. Questo disco è nato quindi per caso, vi siete messi a suonare tra parenti, praticamente.

Io e mio fratello alle chitarre e gli altri due cugini alla batteria e al basso. Ho cambiato tantissimi musicisti nei progetti che avevo prima, ma anche negli stessi Yattafunk il batterista è il terzo che sostituiamo. Proprio con l’arrivo di Francesco abbiamo deciso di fare le cose seriamente perché ha portato una ventata di novità soprattutto nel groove, lui faceva le cover dei Dream Theater e quindi sapeva suonare alla grande, ma non si era mai applicato al funk, era una novità per lui. Si è trovato a suo agio come se avesse sempre suonato questo genere, abbiamo riarrangiato qualche canzone che avevamo già studiato. Ovviamente come tutte le band ci scanniamo una volta al giorno, abbiamo la chat su WhatsApp dove ogni tanto mettiamo l’hashtag #rissa, ma come le grandi famiglie questo dura il tempo che dura e la sera siamo sempre da qualche parte a prenderci una birra. Raramente mi era capitato di dividere certi momenti fuori dalla sala con gli altri elementi della band, invece con loro proprio l’altra sera siamo stati a cena a casa del bassista Andrea, domani andremo a prenderci una birra prima di provare in sala prove i nostri pezzi.

RS. Come siete arrivati a comporre questi brani?

Y. Non c’era nessun vincolo tra di noi, i brani erano più di otto, tre o quattro li abbiamo cestinati perché non ci convincevano più di tanto, non è detto che vengano riesumati poi in futuro. Forse questo disco uscito adesso è un po’ più giocherellone, anche se in realtà è più pesante se andiamo ad analizzare, perché ci sono dei pezzi veramente metal, mette più felicità. Questa energia la sento pure io, se arrivi a 35 anni e stai ancora con la chitarra in mano a saltare significa che il rapporto col palco è troppo forte, anche tre persone sotto che strillano mi mandano fuori di testa, è la serata più bella della mia vita se c’è qualcuno sotto.

RS. La risposta dei locali invece come ti è sembrata?

Y. Vedo gente che non si aspetta quello che sta uscendo dalle casse, presentiamo l’album con la stessa identica scaletta del CD, quindi partiamo con Yattafunk che definisce il genere che viene proposto al pubblico, poi la seconda e la terza sono diverse, poi Leggins & Knives stravolge tutto, quando nel finale di Halloweed By The Funk partiamo col growl che sembra death metal io mi diverto troppo sul palco, perché vedi la gente con gli occhi sbarrati, chi ride o chi storce la bocca, mi piace tantissimo vedere reazioni diverse ad ogni canzone. E’ una cosa che prima non mi era capitato perché proponevo un genere uguale dall’inizio alla fine, per quanto potessi variare. Questo invece sembra un meltin pot di follia.

RS. Nei locali chiedono le cover o vi lasciano fare la vostra musica?

Y. A noi difficilmente chiedono le cover, ormai dopo tanti anni conosciamo i padroni dei locali e ti assicuro che nessuno di loro vuole distruggere la musica emergente per far fiorire le cover band, questo no. Si può trovare un buon compromesso con i gestori dove hai la cover band per riempirti la serata, ma fai aprire a una band emergente, che se riscuote un grande successo puoi richiamarla per un’altra serata tutta sua e sono tutti contenti. Se la band non riscuote grande successo non è certo colpa del locale. Abbiamo partecipato ad un contest organizzato da un’associazione di Zagarolo, vicino Roma, che organizza da anni “Cover The Top”, dove fanno questa tre giorni in piazza ai primi di giugno in cui partecipano cover band. Hanno quindi organizzato un altro contest per band emergenti, che noi abbiamo vinto suonando al Killjoy, permettendogli di aprire i concerti in queste tre serate di cover in una piazza piuttosto piena. Le persone presenti conosceranno l’emergente che apre la serata mentre mangiano il panino con la salsiccia, magari con lo smartphone andranno su Facebook metteranno qualche like, guarderanno se ha prodotto qualche disco… quest’idea in qualche modo è ottima perché può far uscire l’emergente dal circolo vizioso della cover band.

RS. Yattafunk Sucks l’avete proposto poi a Leandro Partenza della Ghost Label.

Y. In realtà non lo conoscevo per niente, finito di registrare il disco sono andato sulla pagina di ReverbNation, ho fatto una ricerca attenta sulle label che potevano sostenerci e ho visto che nel suo roster c’erano artisti che potevano essere vicini al nostro genere musicale. Prima ho mandato una decina di mail e stranamente mi hanno risposto tutte e dieci le etichette, la metà chiedeva di registrare da loro ma noi avevamo già tutto pronto, che senso aveva? Ovviamente ho scoperto che avevano il loro studio di registrazione, quindi avrebbero unito l’utile al dilettevole, “sì, vi promuoviamo ma intanto ci intaschiamo qualcosa”. E quindi no, quelli li ho dovuti scartare, e qualcun altro era interessato, compresa la Ghost di Leandro. Ci siamo fatti mandare l’idea che aveva sulla nostra promozione e mi ha colpito quello che ci ha scritto, una persona che ti dice una cosa e poi la fa veramente.

RS. State organizzando concerti per quest’estate, presumo.

Y. Lo Spring tour è partito il 22 aprile, abbiamo fatto 7 date tra aprile e maggio e altre 3 a giugno, quindi fortunatamente si suona, stiamo cercando di invadere la zona di Roma e poi usciamo fuori. A Roma essendoci tanta offerta può capitare che venga pochissima gente, perché quella sera suonano 300 gruppi in 300 locali, e ci è capitato di suonare a Frascati dove c’è un solo locale che letteralmente esplode di gente perché da quelle parti quando esci dici “o vai là, o vai là”, non ci sono alternative e ti tocca sentire chi c’è, al massimo te ne esci se fa proprio schifo. Vorrei provare a far qualche ricerca e provare a vedere se c’è un locale ogni 80 km, così non si fa un buco nell’acqua. Dovevamo suonare ad un Festival che hanno rimandato a quest’estate dove sicuramente ci richiameranno, apriremo Cover The Top e poi stanno organizzando qui vicino a Roma un Festival per settembre dove ci hanno già contattato per farci suonare.

RS. State già componendo dei pezzi per il secondo disco?

Y. Abbiamo qualche riff da parte, soprattutto di basso, perché Andrea Proietti è impossibile fermarlo. Noi la sera di solito proviamo tre ore, quando dopo un’ora e mezza facciamo la pausa e andiamo nell’altra sala a fumarci una sigaretta lui rimane dentro e continua a suonare. Tira fuori certi riff che certe volte butto la sigaretta, rientro e dico “aspetta che questo adesso lo registriamo”. Le idee ci sono. Questa cosa che abbiamo quattro teste che lavorano contemporaneamente in maniera diversa ci dà veramente tantissime idee, è altamente probabile che nel secondo disco esca un pezzetto samba come fanno i Dream Theater che stavolta mancava, o un finale reggae. Sai, queste follie potrebbero tranquillamente uscire, anche un honky-tonky un po’ simpatico. Quando senti gli Yattafunk devi muovere un po’ la testa e pure sorridere, sennò non abbiamo raggiunto il nostro intento.

Il sogno della mia vita sarebbe di fare il secondo CD con un brano con Blaze Bayley, il cantante degli Iron Maiden in Virtual XI, lo adoro, mi piace perché lui è l’artista che non si arrende mai. Sarebbe strepitoso se riuscissi a fare una canzone con Tommy Massara degli Extrema, sarebbe il non plus ultra. Sono persone che purtroppo non è che conosci facilmente, probabilmente avranno un tariffario per fare una cosa del genere, se non è inarrivabile ci si potrebbe anche fare un pensierino. Queste persone sicuramente sono nomi che sanno cosa vuol dire partire dal basso e cadere tante volte. E poi qualche amico lo faremo intervenire nel prossimo album, perché no?

RS. Come lo vedi il futuro discografico per gli artisti di media-bassa popolarità?

Y. Prima di tutto una band deve rendersi conto quando continuare e quando no, perché è vero che ci sono tante band valide, ma altre che pensano di esserlo perché hanno fatto un punteggio stellare a Guitar Hero. Ci siamo trovati a dividere le serate con band raccapriccianti, ma se un’artista riesce ad avere consapevolezza di ciò che è realmente sarebbe già una gran cosa. Poi bisognerebbe che tutti cominciassimo a supportare l’underground, oggi costa molto meno fare un disco, persino metterlo in distribuzione, di dischi ce ne sono una marea, se hai voglia di cercare qualcosa di buono si trova. E poi c’è una cosa che non ho mai capito, ed è un’incognita che mi porterò fino alla tomba: quando cominci a suonare lo strumento, il primo riff che fai è quello di Smoke on the Water. Perché finisci poi a fare pop italiano?

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