Intervista a Le Luci della Centrale Elettrica (Vasco Brondi e Giorgio Canali)

Le Luci della Centrale Elettrica sono una delle realtà musicali più interessanti degli ultimi tempi. E Vasco Brondi un personaggio schivo e proiettato verso un un universo artistico tutto suo. Che vale davvero la pena di conoscere
Foto di Barbara Ponchielli
Foto di Barbara Ponchielli

Le Luci Della Centrale Elettrica sono una delle realtà musicali più interessanti degli ultimi tempi. A dire il vero, quando si parla della band, si sta parlando soprattutto di Vasco Brondi (l’autore dei testi e delle musiche di questo progetto, nonché voce e chitarra del duo), che con Giorgio Canali ha registrato Canzoni da Spiaggia Deturpata per poi suonare insieme in giro per l’Italia. Il live dell’8 dicembre 2008 al Circolo degli Artisti di Roma ha dato prova del fatto che non ci sono attualmente in giro musicisti di rock italiano (o cantautorale) che vantano la stessa originalità dei testi o dello stile canoro di Vasco Brondi (nonostante i paragoni con Rino Gaetano, Vasco Rossi e Manuel Agnelli – pur non del tutto errati). Questa è l’intervista che abbiamo raccolto a fine concerto.

Rock Shock. Che cosa ne pensi di tutto il discorso relativo alle riviste musicali, recensioni, interviste? E’ secondo te tutto inutile?

Vasco Brondi: guarda, le interviste mi dicono che servono e quindi le devo fare; però, onestamente, non me ne importa niente. Soprattutto non mi va di farle a quest’ora, dopo i concerti. Penso che la qualità della vita valga molto più che star qui a rompersi le balle e a parlare sempre di me.

RS. Ad ogni modo, secondo te servono?

V.B. No, mi dicono che servono, e probabilmente serviranno in qualche modo. Però tutto questo va ad alimentare tutta una categoria di gente che perde il tempo dietro a queste cose che bisogna solo ascoltarle e non star lì a parlarne perché bisogna che tutti abbiano una vita, cioè quella di commentare le interviste o di scrivere sfogandosi rispetto alle proprie inutilità quotidiane…

Giorgio Canali: …o a pulsioni strane.

RS. Quel è stato l’apporto principale di Giorgio Canali al progetto (secondo tutti e due)? E’ cambiato qualcosa rispetto a prima?

G.C. Secondo me non è cambiato nulla. Semplicemente, lavorando insieme sulla cosa, l’abbiamo resa un minimo più matura, ma solo perché sono più vecchio, e quindi ho l’esperienza che mi consente di fare le cose in automatico e abbastanza diligentemente. Non so… la cosa valeva molto anche prima che ci mettessi le mani dentro, quindi alla fin fine l’apporto è minimo. Penso di contare molto di più nella sua crescita personale, come individuo, che nella sua crescita musicale e artistica. Gli sto facendo da Papà! (ridiamo).

RS. Sei soddisfatto del tuo album o, riascoltandolo adesso, cambieresti qualcosa?

V.B. Mah!, io non…

G.C.: …non lo riascolta! (ride)

V.B.: …eh, non lo riascolto da un bel po’ di tempo. Penso, comunque, che uno le canzoni se le porti dietro facendole quasi tutte le sere in concerto. Questo è un disco che non è solo mio, ma è anche di Giorgio e di Manu Fusaroli – che ha lavoro a questo disco. Sicuramente mi hanno insegnato molte cose che non capivo lì per lì, e che ho apprezzato anche dopo averlo registrato. Direi che quello era l’unico modo per fare uscire certe cose in una certa maniera… c’era un’urgenza che poi poteva anche sembrare fretta di fare, che ha contagiato tutti noi. Secondo me è stato fatto esattamente come doveva essere. Il massimo della soddisfazione per me è questo: aver fatto un disco con mezzi istantanei, così come li ho pensati io. Le canzoni le so suonare così e non mi viene in mente nient’altro, per questo è stato molto utile per me il loro apporto.

G.C. E’ fondamentale sapere che questo è un disco di parole. Poi, come sono organizzate su un canale musicale poco importa. Secondo me sono i flash verbali che saltan fuori da questo disco la cosa importante. Di tutto il resto, in fondo, chi se ne frega? Lo vedi quando le cose passano dal vivo… vedi la reazione della gente mista fra l’effetto musicale e l’effetto della frase che viene sparata in quel momento. Chi vince è la parola.

RS. Iinfatti, una volta tu hai detto che la musica per la musica non ti interessa. Cioè?

V.B. In generale non mi interessa chi fa musica per fare musica, quando ascoltandoli ti vengono in mente solo i gruppi…

G.C. …parliamoci chiaro. Sono tre accordi fissi che girano in tondo in maniera strana. Perciò importa come sono piazzate le parole e come sono “incasinati” i discorsi, che muovono dei meccanismi emotivi nella gente che ascolta. Vasco riesce ad evocare delle emozioni nelle persone con delle frasi che girano bene. E’ arrivato in un momento in cui in giro non c’è veramente un cazzo di intelligente e di interessante, ed è arrivato a dire cose intelligenti ed interessanti da ventiquattrenne qual è, e questa cosa ha un certo effetto. Sui suoi coetanei e anche su quelli più grandi. Questo è fondamentale e importante.

RS. Perché hai voluto mantenere questo approccio minimale con le canzoni?

V.B. Mah, perché sono nate con la mia chitarra ed era l’unica cosa che sapevo fare. Non mi interessava che diventasse rock italiano.

RS. Ci sono dei gruppi stranieri che ti hanno influenzato?

V.B. No.

RS. Visto anche i tuoi testi, segui la situazione politica italiana?

V.B. Adesso in Italia parlare di politica significa parlare di partiti, che è una cosa che non mi interessa. Tipo le trenta pagine su Repubblica di politica interna; non è quella la politica: la politica è il rapporto tra le persone. E’ questo che mi tocca. Mi tocca la realtà.

RS. Aandando in televisione, ti hanno detto di limitarti in qualcosa?

V.B. No, assolutamente. Probabilmente tutto è basato su una sorta di autocensura, e quindi uno sa che se va là e bestemmia, dopo ti rompono i coglioni.

RS. Ti capita mai di avere paura del pubblico?

V.B. Oddio, delle teste di cazzo ce l’ho sempre avuta. Però lavorando in un bar per cinque anni ho imparato a riconoscerle e a starne alla larga. E quando vedo su di me un’attenzione da grande fratello, mi girano molto i coglioni. Secondo me c’è una parte di demenza in questa cosa che non mi piace. Poi, mi dispiace far andare via la gente presa male. Ma in generale non posso lamentarmi del pubblico che abbiamo, anche perché col passare del tempo c’è sempre più silenzio in sala, assolutamente. E’ il miglior pubblico che possa capitare.

RS.  Ultima domanda, per Giorgio. Quali saranno i tuoi prossimi progetti?

G.C. Il mio prossimo progetto è quello di morire. Siccome sono immortale (ride) devo cercare di mettere più energia per spegnermi. E’ quella la mia aspirazione: morire.

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